ARCHIVIOLe mani del boss Messina Denaro sull’eolico siciliano

admin08/12/2012
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matteo messiana denaro

Se non è meno libero del solito Matteo Messina Denaro (foto) è almeno un po’ più «povero» dopo il colpo subito dalla magistratura. I carabinieri del Ros e la procura di Trapani hanno stretto il cerchio attorno alla cosca del latitante mafioso numero uno con sei arresti e il sequestro di società legate al business delle energie rinnovabili. Un affare da miliardi di euro che da tempo fa gola alle organizzazioni criminali:e questo, indipendentemente dagli incentivi del governo sulla produzione energetica alternativa. 

 


Sei persone considerate vicine alla Primula rossa, l’inafferrabile Messina Denaro, sono finite in manette: tra loro anche il consigliere provinciale di Trapani Santo Sacco, già consigliere comunale di Castelvetrano (la roccaforte storica del boss) eletto nelle file dell’ex Fi, e l’imprenditore Salvatore Angelo. Le accuse vanno dall’associazione a delinquere di stampo mafioso all’estorsione, dalla corruzione aggravata all’intestazione fittizia di beni. Una specie di «cliché» sperimentato in numerosi episodi analoghi scoperti tra Campania, Calabria e Sicilia

Gli inquirenti hanno anche chiesto, ed ottenuto, il sequestro preventivo di un paio di società di capitali. Si tratta della “Salemitana Calcestruzzi srl” e della “Spallino Servizi srl”, tutte e due con sede nel territorio della provincia di Trapani e valutate patrimonialmente attorno ai dieci milioni di euro.
La mano degli affiliati a Messina Denaro non si limitava ad agire solo nel trapanese ma, grazie soprattutto al carisma del boss, riusciva a penetrare anche in aree diverse dal proprio territorio di «competenza»: gli inquirenti hanno infatti accertato che gli arrestati avevano esteso la propria influenza in provincia di Palermo ed Agrigento.

Secondo le ipotesi formulate dai pm, grazie al monitoraggio delle gare d’appalto effettuato dal consigliere provinciale e da alcuni complici negli enti locali, il gruppo criminale riusciva sistematicamente ad aggiudicarsi i lavori esercitando ogni forma di pressione: che, trattandosi di crimine organizzato, può unicamente significare violenza ed intimidazione. Di modo che, una volta lucrato sul business, si potesse da un lato provvedere alla costosissima latitanza di Messina Denaro e, dall’altro, sostenere gli affiliati in prigione, le loro famiglie e pagare le spese legali per tutti. Anche questo è un classico. E quando le gare d’appalto se le aggiudicava qualche società estranea al loro circuito c’era solo un’alternativa: abbandonare il campo oppure versare nelle casse della cosca tangenti a sei zeri. La rete societaria di Salvatore Angelo riusciva a garantire un ricambio continuo dei soggetti giuridici pronti ad entrare in scena fino alla prossima gara pubblica.

Una certa esperienza imprenditoriale, unita al supporto politico avrebbe garantito anche l’estensione del racket alle centrali a biomasse, oltre che a quelle solari ed eoliche. Dall’indagine sono emersi collegamenti operativi, grazie ai rapporti dell’imprenditore Angelo, con Cosa Nostra palermitana, tramite i contatti con Salvatore e Sandro Lo Piccolo (quando erano ancora latitanti), con l’obiettivo di mettere in piedi strategie comuni nel campo dei lavori pubblici e privati.

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” dell’8 dicembre 2012)

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