È apparso di recente, il 19 settembre, sul maggiore quotidiano nazionale un articolo che tributa il dovuto riconoscimento ad un’opera al centro degli studi di generazioni di studenti liceali, il celeberrimo vocabolario greco-italiano «Lorenzo Rocci». Dal 1939 «il Rocci» è per antonomasia il vocabolario per il greco antico in ambito italiano, affiancato, ma non soppiantato, solo nel 1995 dal più «agevole» GI di Franco Montanari, frutto quest’ultimo dell’era informatica e della sinergia di un gruppo di esperti.
In effetti, a monte del Rocci si colloca l’imponente lavoro di spoglio dei singoli lemmi, condotto su schede manoscritte per un insieme di centocinquantamila parole nelle specifiche occorrenze per i vari autori della letteratura greca in tutto il suo sviluppo, operazione quasi titanica portata a termine dall’autore nell’arco di un ventennio. Il vocabolario è entrato a giusto titolo nella cultura italiana al punto da oscurare la stessa figura del suo autore, gesuita, nato a Fara Sabina nel 1864, all’ombra di quell’abbazia benedettina di Farfa, il cui priore, il monaco cavense D. Eugenio Gargiulo, in un convegno da lui promosso nel 2008 ha restituito la biografia di Lorenzo Rocci.
Tuttavia, l’articolo, pur pregevole in generale, si segnala per una grave omissione, laddove fa del Rocci in assoluto il primo vocabolario greco-italiano. «Fino a quel momento non esisteva un vocabolario greco-italiano pensato nella nostra lingua. Circolavano solo traduzioni dal tedesco del Passow – il progenitore di tutti i vocabolari di greco, pubblicato dal lessicografo tedesco Franz Passow nel 1819 — e dall’inglese del Liddel-Scott-Jones, stampato a Oxford nel 1843».
In Italia, al contrario, almeno dal 1885 il vocabolario greco-italiano era «il Bonazzi», realizzato dal monaco benedettino Benedetto Bonazzi, abate della Badia di Cava e di seguito arcivescovo di Benevento, morto nel 1915 alla vigilia della sua creazione a cardinale da parte di Benedetto XV.
Benedetto Bonazzi, che aveva ottenuto nel 1872 presso l’Università di Napoli il titolo di «professore pareggiato» in lettere greche, abilitato alla docenza universitaria, preferì esercitare il suo insegnamento nel liceo della Badia, esperienza da cui nacque il progetto organico di un vocabolario. Opera assistita da evidente successo se, dal 1885 al 1929, si contano venticinque edizioni, tutte per i tipi dell’editore Morano di Napoli, e nel 1930 una «nuovissima edizione» stampata fino al 1948. Il metodo cui attese l’abate Bonazzi non sarà stato diverso da quello del Rocci, considerata l’epoca ancor più risalente e l’assenza di antecedenti specifici cui far riferimento nella collazione del materiale. Ancora oggi è vivo il ricordo tra i monaci di Cava della «festa» che Bonazzi teneva al completamento delle parole di ogni lettera dell’alfabeto, ventiquattro per quello greco. È da dire che presso l’archivio della Badia si ritrova il manoscritto dell’opera, ma non il materiale di spoglio alla base della compilazione, che forse seguì l’autore nel suo trasferimento a Benevento, come pure che una sola copia del vocabolario è presente in biblioteca, con dedica autografa dell’autore, un esemplare della VII edizione datata 1895.
All’oblio del Bonazzi ha sicuramente contribuito la fortuna del Rocci, fondata su più recenti e complete acquisizioni, anche epigrafiche e papirologiche, in materia di lingua greca. Del resto, lo stesso Rocci nella prefazione al suo vocabolario dà atto della sua dipendenza da «tutti i lavori consimili precedenti», da cui non può essere escluso proprio il Bonazzi, l’antecedente più diretto seppur non direttamente menzionato. Né potrebbe essere annoverato tra «i compendi» di lingua greca da cui il gesuita prende esplicitamente le distanze nella presentazione del suo lavoro.
Benedetto Bonazzi attese alla stesura del vocabolario in parallelo con la sua attività di docente nel liceo della Badia, di cui fu co-fondatore assieme al confratello Guglielmo Sanfelice, futuro arcivescovo di Napoli. E piace pensare che la destinazione primaria del vocabolario fosse indirizzata proprio ai liceali delle scuole della Badia nella loro formazione umanistica. In ogni caso non è fuor di luogo sostenere che «il Bonazzi» costituisce il più diretto predecessore de «il Rocci» per organicità di concezione e di sviluppo. Un «sema», come lo avrebbero definito i Greci antichi, un segno che diventa monumento per la posterità.
Articolo pubblicato anche su “Il Quotidiano del Sud”