NovaetveteraTempo, spazio, prassi e dottrina: le picconate “liquide” di Francesco

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Capita talvolta che capolavori della letteratura siano conosciuti quasi esclusivamente attraverso una loro citazione, che, estrapolata dal contesto, è assunta come modo di dire. È il caso de “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, capolavoro assoluto del Novecento italiano, citato sempre per la battuta del giovane Tancredi in dialogo con lo zio Fabrizio “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
L’abusata citazione del Gattopardo è stata assunta come esempio di cambiamento solo formale nel discorso che papa Francesco ha tenuto nello scambio di auguri natalizi con la Curia romana, annuale occasione di rampogna papale per supposte “malattie curiali”. Quest’anno tuttavia il discorso si è ulteriormente segnalato in quanto pronunciato alla vigilia della riforma della Curia, la cui costituzione dal titolo Praedicate Evangelium si annuncia come il superamento definitivo della Regimini Ecclesiae Universae che dal 1967, da Paolo VI, passando quasi indenne sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, ha retto l’organo di diretta collaborazione del Papa nel governo della Chiesa universale.

Al di là di quelle che saranno le novità della riforma nel suo complesso, ad oggi già prefigurate con l’accorpamento di vari dicasteri e la creazione del super-dicastero della comunicazione con a capo un prefetto laico -novità assoluta nel governo centrale della Chiesa-, dal discorso emerge il richiamo insistito ad un postulato molto caro a Bergoglio, la superiorità del tempo sullo spazio. Dice infatti Francesco citando peraltro sé stesso: “Noi dobbiamo avviare processi e non occupare spazi: «Dio si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo. Il tempo inizia i processi, lo spazio li cristallizza. Dio si trova nel tempo, nei processi in corso. Non bisogna privilegiare gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche lunghi, dei processi. Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa”. È noto che sin dal suo primo documento magisteriale, Evangelii Gaudium, Bergoglio ha proposto in forma di postulati quattro proposizioni su cui conformare l’attività pastorale, oltre alla superiorità del tempo sullo spazio, quella dell’unità sul conflitto, della realtà sull’idea e del tutto sulla parte. Asserzioni in forma di postulato che, come tali, richiedono quanto meno un’interna coerenza logica. Non è dunque un caso che il primo di questi postulati si trovi riproposto come ragione giustificativa della tanto meditata riforma della Curia, vista tout-court come “spazio di potere”.

In merito ai postulati di Evangelii Gaudium, e al primo in particolare, si è segnalata la sottile critica del teologo benedettino Giulio Meiattini, il quale ha individuato tutte le criticità di un’impostazione non specificamente magisteriale quanto piuttosto teorica, per cui “un esercizio corretto della ragione è un buon servizio reso non solo per la teologia e la vita della chiesa, ma anche per una comunicazione virtuosa con il mondo della cultura”. Infatti, resta del tutto aprioristico il primato del tempo in quanto iniziatore di processi sullo spazio in quanto cristallizzazione del potere. Già nei rilievi del teologo, il linguaggio di Francesco appare tanto fluido quanto impreciso. Se, infatti, nel concetto di spazio è lecito ricomprendere elementi di per sé positivi come “lo spazio di libertà”, all’inverso, è possibile annoverare nella nozione di processo anche “il processo di degrado” segnato anch’esso da indubbio dinamismo.
A Francesco sta a cuore il dinamismo del processo in opposizione alla stasi dello spazio, ma applicata questa visione del mondo all’ambito della fede si conferma quella generale impressione di liquidità del lessico papale all’origine di varie fratture interpretative nell’attuale corso della Chiesa. È pur vero che in questo caso si tratta dell’azione di governo, ma la presupposizione di una dinamica di cambiamento fine a sé stessa rischia di travolgere quanto vi è di sperimentato in un apparato complesso e comunque legato alla dimensione teologica del primato papale. Il fatto stesso poi che Francesco abbia in Amoris laetitia aperto alla possibilità della comunione sacramentale ai divorziati risposati proprio in applicazione al suddetto postulato, laddove dice che “non tutte le discussioni dottrinali, morali e pastorali devono essere risolte con interventi del Magistero”, avvia una fase di ridimensionamento del primato della dottrina a favore del processo di adeguamento alla prassi.  

La stessa formula cara al Papa di “un cambiamento d’epoca e non di un’epoca di cambiamenti” colloca la Chiesa in un contesto di precarietà da cui, a buon diritto, dovrebbe essere indenne in nome del dato immutabile della fede. Assunto per vero il cambiamento d’epoca, dalla Chiesa ci si aspetterebbe tutt’altro che avviare processi. Non foss’altro per l’ambiguità dei vari processi a fronte dei quali – per dirla con il teologo – “il problema principale per l’uomo odierno non è l’immobilismo, quanto il non avere più dei marcatori e dei misuratori dei processi in atto”.

Francesco, oltre alla citazione del Gattopardo, ha riproposto l’affermazione di un’ultima intervista del cardinal Martini per cui la Chiesa sconta un ritardo di duecento anni sul mondo. Il gesuita arcivescovo di Milano faceva esplicito riferimento all’aggiornamento della dottrina. La denuncia è stata fatta propria dal confratello divenuto vescovo di Roma con l’avvio di tutti i processi di adeguamento alla prassi volti a scardinare lo spazio della dottrina e a recuperare cosi lo storico ritardo ecclesiale accumulato.

 

Nicola Russomando

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