FacciaafacciaCaffè espresso italiano: settant’anni con Gioia

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Il caffè è Gioia di nome e di fatto. E’ una passione di famiglia che si tramanda di generazione in generazione, fin dal 1949 quando Domenico e sua moglie Wanda divennero punto di riferimento per la selezione di caffè, tostati nel retrobottega dell’ emporio rilevato da un italo-americano in via G. Matteotti.  Chi dice Caffè Gioia dice Eboli, ma soprattutto dice qualità, perché è su questo che la famiglia ha costruito il successo.
Oggi
Caffè Gioia è un marchio di Labcaffè srl, azienda dello stesso gruppo creata nel 2002 con lo scopo di riorganizzare la distribuzione e la commercializzazione dell’azienda madre e che investe la seconda e la terza generazione.

E chi se non Flavio Gioia (in foto), 43 anni, amministratore delegato della LabCaffè srl, può raccontare la storia della sua famiglia?
“All’indomani del terremoto dell’80 la torrefazione si trasferisce in via Apollo XI. Qui nei locali terranei di casa si perfezionarono processi e distribuzione. Sono cresciuto con il profumo del caffè appena tostato, confezionato in sacchetti da un chilo o in barattoli di latta. Nasce nel 1981 il marchio Caffè Gioia e nell’impresa di famiglia i figli, Vito, Fausto e Filomena assunsero ruoli determinanti. Siamo stati i primi nel Sud e tra i pochi in Italia a credere nel caffè porzionato in cialda. Fu un’intuizione vincente. Oggi, seppur la cialda sia il nostro prodotto del cuore, produciamo anche in capsule, come per la linea caffè Gioia Enjoy pensata per i gestori (con macchina e capsule esclusive)”.

Nonostante i tempi mutevoli e il susseguirsi di gusti e tendenze l’impresa è riuscita ad innovarsi e ad aprirsi al mondo, oggi è presente in più di 40 Paesi dei cinque continenti, compresi l’Est Europa e il Medio Oriente. Qual è il segreto?
La materia prima. I chicchi verdi devono essere di ottima qualità, e questo vale sia per l’arabica, considerata a torto la sola varietà pregiata, sia per la robusta. Esistono infatti caffè robusta di altissima qualità e le due stelle conferite lo scorso anno alla nostra miscela Strong lo conferma. Molto poi dipende dal gusto, quello degli italiani ad esempio varia anche in base all’area geografica: al nord si predilige l’arabica, nel Mezzogiorno piace di più la robusta. Ma è nella selezione e nel dosaggio delle miscele che avviene la magia, le nostre sono ancora oggi perfezionate e custodite gelosamente da zio Fausto nel suo personale laboratorio. Oltre alla qualità del prodotto incide molto anche il processo di lavorazione. La tostatura “ecologica” è infatti il nostro fiore all’occhiello. Attraverso una cottura ad aria i chicchi di caffè non vengono sottoposti a shock termici né a contaminazione da combustione e, pertanto, conservano inalterate tutte le proprietà organolettiche. Il segreto di caffè Gioia? E’ stare al passo con i tempi e aprirsi al nuovo”.

Il nuovo è il biologico?
Il viaggio nelle piantagioni peruviane ha dimostrato come tecniche di coltivazione eco-sostenibile e processi di raccolta naturali producano un ottimo caffè, e verificato con i miei occhi il lavoro delle aziende produttrici. Oggi puntiamo sul monorigine peruviano: è un caffè che pur avendo una spiccata acidità conserva come espresso quella cremosità che in Italia è molto apprezzata. Siamo onorati di essere i primi in Europa ad aver ottenuto l’autorizzazione all’utilizzo del marchio d’origine “Cafés del Perú” e come portavoci nel mondo del caffè arabica peruviano saremo presenti dal 20 al 22 ottobre al salone internazionale del biologico di Parigi (NatExpò 2019). Un’attenzione al biologico che poniamo anche nella lavorazione del crudo, in tutte le fasi: dalla torrefazione al confezionamento. La novità della cialda con incarto esterno compostabile è solo l’ultima tappa di questo percorso verso la sostenibilità”.Con il monorigine peruviano Caffè Gioia ha conquistato quest’anno le due stelle del “Superior Taste Award” (equivalente alla stella Michelin per la ristorazione). Ci racconta l’esperienza? 
Il premio dell’international taste Institute di Bruxelles, che si basa su una degustazione “alla cieca”, e che ho avuto l’onore di ritirare a Roma presso la residenza dell’ambasciatore Belga, ci riempie di orgoglio e ci sostiene nel cammino intrapreso, ovvero scegliere i chicchi migliori e trattarli con processi e tecnologie che consentono di mantenerne inalterate le caratteristiche.Capita spesso di trovarsi al supermarket a fare i conti con offerte al ribasso di marchi sempre nuovi. Come fare per riconoscere un caffè di qualità?
C’è molta concorrenza sleale: la prima cosa da considerare è il prezzo, non è possibile abbattere così tanto i costi senza penalizzare la qualità. E non sempre vale la regola che la cremosità sia sinonimo di un ottimo caffè. Abbiamo poi dei riscontri oggettivi: mal di testa o dolori addominali dopo l’assunzione sono segnali di un caffè scadente. C’è ancora tanto da fare in merito alla formazione del consumatore, anche se oggi è più consapevole su ciò che acquista e porta in tavola”

Progetti per il futuro?
Tanti i progetti in cantiere a cominciare proprio dai corsi di formazione per la degustazione del caffè. Stiamo lavorando, inoltre, nel settore Ho.Re.Ca. al caffè gourmet monorigine. L’obiettivo è consentire ai ristoratori di disporre di una carta dei caffè, tutti di alta qualità, ma con un’estrazione semplice come una cialda in carta filtro”.

Oggi a presiedere l’azienda di famiglia è Vito Gioia, che insieme al fratello Fausto e alla sorella Filomena rappresentano la seconda generazione, mentre Flavio, suo fratello Domenico e le cugine Oriana e Romina sono le nuove leve e ognuno nel suo ruolo contribuisce allo sviluppo della torrefazione, collezionando un successo dopo l’altro.  

 

 

Emanuela Carrafiello

Giornalista

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