In un articolo pubblicato sulla rivista uppa.it il dottore Vincenzo Calia riporta un singolare dialogo tra un genitore e un piccolo paziente che per un viaggio all’estero si ritrovano in una farmacia olandese:
– «Avete acqua per neonati?»
– «Acqua? Quale acqua?»
– «L’acqua speciale per Alice, ha solo un mese ed è allattata al biberon; in Italia usiamo di solito l’acqua…»
– «Perché non ci sono rubinetti in Italia? E neppure nel vostro albergo?»
– «Sì, ma noi siamo abituati all’acqua minerale…»
– «Be, se le cose stanno così… il negozio di alimentari è dall’altra parte della strada!»
Da una ricerca del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) più del 90% degli italiani beve acqua in bottiglia, siamo i primi consumatori in Europa e i secondi al mondo (una volta tanto riusciamo ad essere vincitori) ma è una sana abitudine?
Fino al 2007 gli studi dimostravano che l’acqua di rubinetto e numerose acque minerali imbottigliate non erano in grado di soddisfare gli obblighi di legge per una serie di motivazioni:
– Fonte di approvvigionamento: le acque sotterranee garantiscono solo l’80% del fabbisogno, inoltre il loro progressivo esaurimento impone l’adozione di sistemi integrati quali l’approvvigionamento di acque superficiali;
– Rischi contaminazione: delle risorse a opera di fertilizzanti, pesticidi, nitrati e metalli pesanti (in Svizzera e in India gli studi avevano evidenziato che l’80% delle acque potabili erano contaminate da pesticidi dell’agricoltura o industriali; i pesticidi sono dannosi per le cellule nervose); da processi di potabilizzazione (l’uso di cloro o ipoclorito di sodio, in presenza di precursori costituiti da sostanze organiche (acidi urici), porta alla formazione di composti alogenati (trialometani) incriminati nella patogenesi di tumori intestinali, oggi superato con l’uso del biossido di cloro); nella rete di distribuzione (materiali delle tubature, stato di manutenzione, il principale problema sembra legato alla corrosione e conseguente cessione delle sostanze utilizzate per la costruzione o il rivestimento delle condotte (cemento, amianto, rame, acciaio zincato, piombo), da allora ad oggi la rete è stata ampiamente ricondizionata);
Per i suddetti motivi, oltre 10 anni fa, l’acqua minerale imbottigliata era da preferire a quella di rubinetto, soprattutto nel primo anno di vita:
1) La fonte di approvvigionamento era solitamente sorgiva; 2) il confezionamento ne garantiva sterilità e conservazione delle caratteristiche chimico-fisiche; 3) la composizione era costante.
… ai nostri tempi
Le acque potabili in Italia sono prevalentemente di origine sotterranea e il loro controllo è regolato da leggi (D.L. 2001/31 in particolare), con la determinazione di 64 parametri qualitativi, più delle acque minerali imbottigliate. Sono inoltre stabiliti controlli periodici sull’acquedotto (nella mia esperienza di ufficiale medico dell’esercito italiano i controlli erano trimestrali dalla condotta di raccordo dell’acquedotto al rubinetto finale).
Per le acque potabili la legge stabilisce un residuo fisso inferiore a 1500 mg/l e con questo limite viene garantita l’affidabilità per l’alimentazione anche in età pediatrica. Malgrado questo l’acqua del rubinetto viene eccessivamente penalizzata.
Le acque minerali che vengono etichettate quali più adatte, soprattutto per uso in età pediatrica, sono quelle il cui residuo fisso è compreso tra 50 e 500 mg/l, cioè quelle oligominerali, ma nonostante questa indicazione sia diffusamente accettata non esistono in letteratura evidenze scientifiche che supportino la validità assoluta di tale atteggiamento.
“Non esiste una ricca letteratura scientifica sull’argomento, ma esistono solide conoscenze- spiega Alberto Villani (responsabile dell’Unità operativa di Pediatria generale e malattie infettive dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e Presidente delle SIP, Società Italiana di Pediatria)- sulla necessità di alcuni oligoelementi (sodio, calcio, magnesio) per l’organismo del bambino, in particolare nei primi mesi di vita. Quindi acqua povera in sodio e ricca in calcio e in magnesio”, caratteristiche presenti sia in alcune acque di rubinetto sia in acque imbottigliate, anche molto economiche.,
Per Luigi Galati (Responsabile dell’unità operativa di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Mater Dei di Bari): “Non ha senso preferire una specifica acqua per evitare di affaticare i reni dei neonati. I reni ancora in formazione dei bambini molto piccoli potrebbero, semmai, essere affaticati da altri elementi, come le proteine (latte) e l’urea, ma non certo dai normali elettroliti comunemente presenti nell’acqua potabile, che sono totalmente ininfluenti”.
Alcuni studi recenti hanno segnalato la possibilità che sostanze dannose come gli ftalati e il bifesnolo A possano essere rilasciati dai contenitori di plastica. E che la carica batterica bassa all’origine non lo è più una volta che la bottiglia viene aperta. A ciò si aggiungono la produzione, la raccolta e lo smaltimento delle plastiche o vetro, e i relativi costi.
Pertanto assodato che è importante nell’infanzia una idratazione adeguata e che l’acqua ideale in età pediatrica dovrebbe essere ricca in magnesio e calcio, e povera di sodio, quella del rubinetto non inquina l’ambiente (contenitori e trasporti) ed è sottoposta a minore rischio di contaminazione biologica (clorazione), oltre ad avere un costo più basso.
Bibliografia:
Raccomandazioni ISDE (international Society of Doctors for the Environment) progetto “Fare di più non significa fare meglio – Choosing Wisely Italy”
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V. Calia Acqua per il latte artificiale, come scegliere? UPPA.it
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Bruno Salvatore
pediatra di famiglia_ Eboli (Sa)