E’ il famoso coccodrillo di Churchill quello che da giorni si è materializzato dinanzi a Giggino Di Maio. Il mai troppo rimpianto statista britannico, riferendosi alla mollezza con cui le nazioni europee si rapportavano a Hitler, diceva che certi stati “stanno dando cibo al coccodrillo sperando che li mangi per ultimi”. Il vice premier, che deve tutto al peggior circo mediatico-giudiziario, si ritrova da circa una settimana a far da pasto proprio a quel sistema foraggiato a lungo. Al centro, come (anche) qui raccontato ieri, le marachelle del papà Antonio, prodotto tipico del luogo, metà impiegato comunale dell’ufficio tecnico, metà piccolo imprenditore edile con operai a volte tenuti in nero. La storia la conosciamo, è nata da una inchiesta delle Iene che ha svelato quanto in un centro del sud Italia (ma non solo) sapevano anche le pietre e rispetto al quale in pochi si scandalizzavano. La nuova rogna l’ha descritta ieri Il Mattino di Napoli.
Antonio Di Maio, l’augusto genitore, sarebbe ora al centro di un nuovo “giallo”: pur non essendo mai stato l’effettivo titolare della Ardima srl, l’impresa edile al centro delle polemiche, l’Agenzia delle entrate ha ipotecato un fondo agricolo a lui cointestato nella vicina Mariglianella -su cui sarebbero stati commessi pure alcuni abusi edilizi per i quali sta ora procedendo la procura di Nola- per una esposizione debitoria col fisco per 176.000 euro. Una cartella esattoriale che rincorre il papà del capo politico del M5S e che, verosimilmente, gli ha precluso la possibilità di intestarsi la Ardima srl, la ditta che secondo tutti, a Pomigliano d’Arco e circondario, è di fatto sua. Potrebbe trattarsi di qualsiasi cosa, da un’evasione delle imposte societarie al mancato versamento di altre tasse e/o contributi: una volta che l’Agenzia ritenga di aver scoperto che dietro a un nome se ne celi in realtà un altro, cioè quello del vero proprietario di una società, aggredisce il patrimonio dell’amministratore di fatto ritenendo che sia il vero responsabile della presunta evasione.
In questi giorni è poi saltata fuori anche un’altra vicenda imbarazzante, laddove venisse confermato il legame con le cose di queste ore: si tratta di una vecchia storia risalente al periodo successivo all’elezione di Di Maio alla vicepresidenza della Camera nella scorsa legislatura. All’epoca Antonio Di Maio denunciò di avere subito una rapina. Secondo quanto raccontato ieri dal Mattino, la storia oggi rispunta perché ci sarebbe chi è convinto che dopo la fulminea -ed inspiegabile- ascesa politica di Giggino, ci fosse qualcuno informato delle magagne della ditta di famiglia ed abbia fatto così pressioni sul padre.
In questo contesto di guai incrociati, tra abusi edilizi, versamenti contributivi evasi e cartelle esattoriali già consolidate, la magistratura potrebbe richiedere gli atti all’Agenzia delle entrate per stabilire le ragioni dei cambi societari che nel tempo hanno interessato l’Ardima, intestata prima a Paolina Esposito, madre di Di Maio, poi al ministro e a sua sorella, Rosalba, e mai al padre Antonio che, al contrario, secondo il fisco è il vero amministratore.
*dal quotidiano “Libero” del 2 dicembre 2018