In circa settemila lasciarono Eboli per raggiungere il fronte e di molti non si seppe più nulla, dispersi o caduti sul campo di battaglia. Quelli che invece tornarono, feriti e mutilati, serbarono per decenni l’orrore di quel ricordo, di una guerra feroce e logorante che cambiò per sempre le loro vite. Quest’anno in occasione del centenario della prima guerra mondiale ad Eboli, su iniziativa dell’associazione “Feudo Ron Alfrè” con il patrocinio del Comune, è stata allestita (dal 4 al 10 novembre) presso il I circolo didattico in piazza della Repubblica una mostra documentale e fotografica che ricorda le vite di quanti partiti dalla piana del Sele combatterono in trincea, su una linea che collegava il lago di Garda a Gorizia, attraversando l’altopiano di Asiago, i monti del Cadore e della Carnia,fino all’altopiano della Bainsizza.
Gran parte dei soldati schierati contro gli austro-ungarici erano, infatti, giovani meridionali, catapultati in guerra dopo aver salutato donne, bambini e vecchi, lasciati a governare la terra e il bestiame. E nei reperti collezionati e conservati gelosamente da Renato De Filitto, titolare della azienda agricola omonima e promotore con suo fratello della fattoria didattica il “Feudo Ron Alfrè”, tutto racconta di sofferenze indicibili, considerando la scarsità di viveri, di igiene e di equipaggiamento a cui i soldati dovevano far fronte.
Nella società dell’opulenza la vista di una piccola gavetta (o gamella) per il rancio quotidiano fa rabbrividire, in poco spazio i soldati conservavano quanto loro destinato e preparato nelle retrovie: 600 grammi di pane (spesso duro come la pietra), 100 di pasta e carne o riso (che nel giungere a destinazione si trasformava in un blocco colloso), frutta e verdura a volte. Per quelli in prima fila la gavetta era più grande per contenere scatole di carne e di alici sott’olio, cioccolato.
Seppur consistente rispetto al rancio austro-ungarico, ben presto la qualità del cibo sul fronte italiano cominciò a peggiorare, vista la militarizzazione delle campagne, le razzie, le malattie per carenze alimentari. A questo si aggiungeva la scarsità di risorse idriche e la possibile contaminazione batterica dell’acqua, trasportata fino in prima linea a dorso di muli. Anche la borraccia (in ferro) in dotazione alle truppe dopo un po’ si arrugginiva.
Nella mostra, oltre a uniformi, munizioni e vettovaglie, ampio spazio è dedicato all’ospedale da campo: casse per il trasporto dei medicamenti, garze, ampolle per gli unguenti o la tintura di iodio, una barella per i feriti e soprattutto il “decalogo del soldato ferito”, dieci semplici regole in caso di ferimento sul campo di battaglia.
Nell’appassionato racconto di Renato De Filitto (nella foto) rivive il dramma di un’intera generazione.
Sarà proprio la testimonianza di suo nonno, preservata dalle pagine di un diario, a spingerlo nella ricerca di documenti, fotografie e cimeli bellici. “Il sacrificio di questi uomini e delle loro famiglie non può essere taciuto”, spiega Renato “ed è importante formare e informare i ragazzi per una maggiore comprensione della storia d’Italia”.
Furono 600.000 i caduti italiani della prima guerra (1.400.000 francesi, 1.800.000 caduti tedeschi, 1.300.000 austro-ungarici e 1.600.000 russi) e ad Eboli non ci fu famiglia che non ebbe qualcuno disperso o morto in battaglia. Dai documenti ufficiali risultano oltre centosettanta vittime, tutti giovani uomini morti tra il 1915 e il 1920, sepolti in terre lontane, la cui memoria fu per decenni offuscata. Dobbiamo attendere gli anni ’60/’70 per la consegna della medaglia dei cavalieri di Vittorio Veneto ai superstiti, testimoni viventi di una immane carneficina.
Elenco dei caduti della I guerra mondiale (1915-1918)_ Comune di Eboli