DemosIn spiaggia con lo smartphone, sempre più adulti ne sono dipendenti

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Leggere in spiaggia, approfittando della quiete, regalandosi momenti di completo svago non fa più parte del costume italiano, sotto gli ombrelloni o sulle sdraio arroventate dal sole sono sempre più quelli che preferiscono giocherellare con gli smartphone.

Alzi la mano chi, nonostante l’evolversi delle tecnologie, resta fedele alla lettura di un classico, potendo spaziare da Hemingway a Calvino. Giocherebbe a favore il fatto che dalla spiaggia non spunta nessuna presa elettrica e questo in parte dovrebbe liberarci dalla dipendenza dai nostri modernissimi device sempre connessi, anche se ancora per poco visto che è sul mercato una startup marchigiana “Smart beach” che ti consente di ricaricare lo smartphone sotto l’ombrellone, oltre che di prenotare il posto da casa e di ordinare cibi e bevande direttamente dalla spiaggia. Il richiamo della rete, dei gruppi, dei follower è tanto forte quanto l’egocentrismo e il desiderio di esserci ad ogni costo, tant’è che nessuno pare intenzionato a mollare il diabolico oggetto.

Gli smartphone sono ovunque, a rapire gli sguardi: appoggiati sull’asciugamano in riva al mare, o al collo, impermeabilizzati e schermati (molto in voga i sacchetti a chiusura ermetica), purché salvi da quella che potrebbe trasformarsi in una catastrofe.
E se per millenni il sole, il mare, la sabbia, la salsedine sono stati celebrati come toccasana per il corpo, oggi sono i nemici principali dei nostri tablet e smartphone senza i quali la nostra vita non avrebbe più senso. E così arrivano in spiaggia i totem ad energia solare con tanto di tavolino e intorno una serie di bagnanti intenti a socializzare, in attesa che il loro smartphone si ricarichi. Garageeks, la startup hi-tech novità dell’estate 2018: una stazione di ricarica pubblica per dispositivi mobili dedicata a stabilimenti balneari e locali all’aperto.
Al mare, fianco a fianco ma senza scambiarsi una parola o uno sguardo: questa sarebbe la nuova frontiera della moderna socializzazione, che oggi avviene in rete, in una realtà parallela in cui ogni risposta è data e le emozioni si perdono dietro faccine ed emoji.
I “cellularman”, che altra cosa sono rispetto alla generazione dei “nerd”, sono poco interessati alle attività sociali e a contatti coi membri dell’altro sesso, trascorrono tutto il di’ a chattare, a giocare, e a “informarsi”. Possiamo dire addio alle partite di beach volley in riva al mare, al tradizionale scambio di palleggi coi racchettoni la cui pallina veniva spesso spinta di proposito sotto l’ombrellone della “miss” di turno, sempre più raro vedere famiglie o comitive di amici sfidarsi in una gara di bocce, è così comodo starsene sdraiati a giocare a bubble shuttle o minecraft. I cruciverba? Roba da vecchi, giacciono impolverati sugli scaffali di una moderna edicoleria traboccante di pupazzetti collezionabili di ogni genere e forma, un sogno per ogni bimbo che non sa ancora leggere e che, ahinoi, non conosce la potenza della scrittura di cui l’edicola oramai da qualche secolo ne è il tempio.

Ci sono circostanze in cui i genitori temono di apparire cattivi obbligando i bambini a lasciare il cellulare a casa quando si va in spiaggia, eppure vedere come il bimbo se ne serve dovrebbe convincere molti a fare questa scelta: al mare non serve, il bimbo non deve usarlo perché si è insieme. Il punto è che i bambini imitano e sarebbe inutile vietare loro l’uso del cellulare se noi non facciamo altro.
Secondo un’analisi condotta dall’associazione dei bagnini tedeschi DLRG, la dipendenza da smartphone degli adulti ha in spiaggia conseguenze estremamente serie.
Solo quest’anno sui 300 annegamenti verificati, una buona parte ha coinvolto bambini i cui genitori erano distratti dal telefono.


Camminare sul bagnasciuga, giocare con la sabbia raccogliendo cocci di conchiglie o leggere un buon libro, stimolerebbe molto più la creatività e la fantasia dei piccoli, offrendo occasioni di condivisione e di crescita reciproca.

 

Emanuela Carrafiello

Giornalista

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