Quando si dice che i nodi vengono sempre al pettine: se per anni blocchi ogni ipotesi di costruzione di impianti per il trattamento dei rifiuti all’insegna del «fatelo, purché non sotto casa mia» è ovvio che ad agosto 2018 puoi ritrovarti punto e a capo.
Prendi Napoli città: il centro, la periferia, i quartieri collinari, quelli meno alti, lo stesso aeroporto di Capodichino, insomma l’intera area urbana arranca sotto il peso di circa cento tonnellate di spazzatura che non solo risulta poco (e male) differenziata ma addirittura non si sa dove metterla, come smaltirla e -soprattutto- per quanto tempo ancora resterà in strada. E’ di nuovo emergenza rifiuti? No, ma poco ci manca, specie se si considera che l’unico termovalorizzatore esistente (quello di Acerra) ha avuto una delle tre linee in manutenzione e che da qui a meno di un anno (maggio 2019) dovrà fermarsi del tutto per la revisione della turbina principale. Se a questo aggiungi che ancora non sono pronti i 14 impianti per il compostaggio (trattamento del materiale organico) previsti dalla nuova legge regionale, che le società provinciali per la raccolta sono stremate dai debiti e, quindi, scarsamente reattive e funzionanti, che la Cina e la Germania hanno in pratica imposto il blocco dei trasferimenti in loco, che il trasporto stesso all’estero oggi presenta costi insopportabili, che le strutture esistenti (gli Stir) spesso si incagliano per gli alti volumi in trattamento, che solo pochi giorni fa alcuni strani incendi hanno devastato impianti per la separazione dei materiali (vedi la “De Gennaro spa”) e che mentre parliamo discutiamo e scriviamo, il timer della sanzione imposta dalla Cedu all’Italia di circa 130mila euro al giorno scorre inesorabile, ecco che il quadro comincia a farsi più chiaro. E per nulla incoraggiante.
Il bubbone, manco a dirlo, continuare ad essere il capoluogo della Campania, quella Napoli dove non sai bene se c’è un problema di amministratori o di amministrati, o tutti e due. Un reportage del Corriere del Mezzogiorno ha ieri plasticamente ritratto la situazione: in via Crispi, centralissima, da tre giorni non si raccoglie la spazzatura, i marciapiedi sono invasi, la gente saltella qua e là prima di entrare nel presidio ospedaliero; ti sposti in via Tasso, zona di sushi ed aperitivi, e ti ritrovi tra la puzza dell’organico e montagne di carta e cartone che nessuno raccoglie anche perché i tre centri che li lavorano sono anch’essi andati a fuoco; vai poi a Capodichino, biglietto da visita di un intero pezzo d’Italia e ponte principale per i flussi turistici e ti accorgi di essere circondato da materassi, reti, mobili dismessi e file di sacchetti neri. Insomma, un vero e proprio macello si direbbe.
Il “fattore De Magistris” incide, specie se osservato nell’arco di oltre un settennato di governo molto ideologico, diciamo: partito con l’obiettivo “Zero Waste”, cioè rifiuti zero, concepito dal guru ambientalista Paul Connett (quasi Napoli fosse Chicago), passato poi a un «entro cinque giorni toglieremo la spazzatura dalla strada» in esordio d’amministrazione e finito nel maggio di quest’anno a dire che «l’emergenza non c’è mai stata» e che «il lavoro che il Comune sta facendo sull’impiantistica alternativa, gli ecodistretti di multimateriale e compostaggio è positivo», oggi si ritrova con una percentuale di raccolta differenziata che sfiora il 30% e con una città metropolitana nuovamente in affanno. Di qui, poi, al tipico rimpallo di responsabilità. Il governatore De Luca, che da sindaco di Salerno fece miracoli, ha forse sbagliato nel cancellare dal piano la realizzazione di altri due inceneritori per puntare sull’impiantistica diffusa ma, dal suo canto, vanta numeri diversi (al netto dell’eredità di 6 milioni di ecoballe smaltite finora solo per un terzo), con percentuali regionali che superano il 50% che proiettano la Campania ai vertici delle statistiche italiane, seppur paradossalmente. Dice il presidente: «Non siamo all’inizio di nessuna emergenza ma dobbiamo tenere presente che non abbiamo completato il ciclo e quindi dobbiamo tenere gli occhi aperti. Questo lo dico in particolar modo ai Comuni, perché è bene ricordare che la Regione fa le leggi e la programmazione ma non gestisce i servizi di igiene pubblica, compito che spetta a loro».
Dal quotidiano “Libero” del 2 agosto 2018
*Foto in copertina_anteprima24.it