Contravvenendo al più solido dei principi della pubblica amministrazione, la «continuità amministrativa», il sindaco di Napoli punta i piedi e decide quale debito sia giusto (pagare) e quale non lo sia. Stamattina la città sarà proprio per questo spaccata in due: da un lato la manifestazione convocata dall’ex pm in Piazza Municipio contro le rigidità istituzionali (magistratura contabile, presidenza del consiglio, enti e soggetti creditori) che quel debito non vogliono né possono cancellare; dall’altra, a poca distanza, in Piazza Trieste e Trento, una contromanifestazione organizzata dai partiti dell’opposizione tutta, dal Pd alla Lega a Fratelli d’Italia, al grido di «De Magistris vattene, salviamo Napoli», corollario di uno striscione esposto due giorni fa sulla facciata del comune. Sarà uno spettacolo imperdibile.
De Magistris è finito nel tritacarne istituzionale allorquando è saltato fuori che il comune di Napoli deve ancora onorare circa 120 milioni di euro (precisamente 114) risalenti al 1981 e al 2007, per la gestione del terremoto e per una delle infinite emergenze rifiuti dei bei tempi andati. Debiti non contratti da lui, ovvio, ma pur sempre debiti di un ente incarnato da organi e rappresentanti, seppur pro-tempore: esattamente come avviene per tutti gli altri comuni.
«Quel debito non lo abbiamo contratto noi, mi si rivolta lo stomaco a pensarci. E’ un debito ingiusto». Messa così, intenerirebbe chiunque: il punto è che qualcuno dovrà pur farlo, a meno di non volere far naufragare la residua certezza degli istituti del nostro ordinamento. Lui non vuole, e con lui il rituale codazzo di associazioni, più o meno antagoniste, consiglieri comunali di analoga matrice e pezzi sparsi di società civile cosiddetta. Nelle scorse settimane il barricadiero primo cittadino aveva minacciato sfracelli, era andato a Palazzo Chigi incontrando un super paziente Gentiloni che, a sua volta, si impegnò a farsi carico del 75% di quel debito. Accordo fatto, problema risolto? Macché: quelle col premier erano state parole, mancano ancora gli atti formali sottoscritti ma De Magistris, che in questo non è superato da nessuno, fiuta il pericolo del tempo che scorre e decide di passare all’azione. Buttandola in caciara, naturale inclinazione sin dai tempi in cui indossava la toga. Ed ecco che arriviamo ad oggi, giorno della doppia protesta pubblica, di chi crede sia possibile scansarsi un debito perché «ingiusto» e chi di «ingiusto» trova soprattutto il fatto che la città sia amministrata da lui. Del resto, avendo presentato un documento contabile in pareggio grazie alla mancata indicazione di quei debiti fuori bilancio residui, circostanza «scoperta» dalla Corte dei Conti (che perciò ha agito di conseguenza) era normale che la situazione degenerasse. Infatti, se nel 2011, anno d’esordio della rivoluzione in bandana, il rosso delle casse sfiorava gli 800 milioni ed oggi tocchi i due miliardi una ragione ci sarà.
Intanto dalla stampa locale si apprende che mezzi pubblici e vigili urbani stanno per finire il carburante dei mezzi. Qualcuno vicino al sindaco si dice sereno nonostante tutto: «tanto fra un po’ arrivano i soldi da Roma», la solita storia. Che non piace neppure a tanti, tantissimi, nel Mezzogiorno. Ma il sindaco è così, basta ripercorrere la storia del personaggio, da quando faceva il pm a Catanzaro fino ad oggi, per capire che la sostanza è sempre la stessa: conta solo quel che io immagino sia la realtà, leggi e regolamenti valgono per quel che valgono. Scorrere l’elenco dei flop giudiziari e confrontarli con il risultato «politico» degli ultimi anni: come i sogni di Shakespeare, sono tutti della stessa materia, cioè una gigantesca “ammuina” (trad: caos).
Nei giorni scorsi, a Benevento, in un’iniziativa pubblica al fianco di no global e centri sociali ha detto che se si ritrova a fare politica lo deve proprio a Clemente Mastella (vedasi vicenda Why Not) che ordinò da Guardasigilli un’ispezione sul suo operato di pm e che, come risposta, si ritrovò nel registro degli indagati. Forse era «ingiusta» anche quella ispezione, poi è andata come è andata: macerie qua e là e carriera politica assicurata tra i battimani di forcaioli di ieri e di oggi. Ora c’è il seguito: la preparazione alla sfida per la conquista della Regione Campania contro il mai amato (ricambiato) De Luca.
«Potevo dichiarare il dissesto finanziario ma non l’ho fatto: anche per non dare la soddisfazione a Libero di titolare “Napoli è fallita”. Non ce n’è bisogno, quel titolo andrebbe bene ogni giorno.
dal quotidiano “Libero” del 14 aprile 2018