Se è come dice il presidente della giunta regionale della Campania, Vincenzo De Luca, il già gigantesco problema dei controlli di regolarità, formale e sostanziale, che dovrebbe esercitarsi sulla gestione del pubblico danaro, supera il merito del problema stesso: mancano (mancherebbero) all’appello cinquecento milioni di euro nei conti della Regione, dissimulati nelle pieghe del bilancio da qualche anno e venuti fuori da un paio di giorni dopo che il governatore ha reso pubblica la notizia. Mezzo miliardo che rischia di mandare in default l’intero sistema, risalente al 2014 e che, una volta sommato alle altre sorpresine contabili del triennio precedente, fissa a circa due miliardi di euro il buco totale nelle casse. Un guaio, vero.
«Oggi abbiamo approvato la variazione di bilancio in consiglio regionale, triennio 2017/2019, per un disavanzo di 510 milioni del 2014» -ha detto De Luca tre giorni fa in un convegno della lista-associazione “Campania Libera”- «La Corte dei Conti ha rilevato un buco di bilancio di più di due miliardi relativo agli anni 2013, 2014 e 2015. Gestione non nostra, ma di quando non sono stati approvati i bilanci consuntivi. Se non ci consentono di dilazionare il pagamento del debito, rischiamo di chiudere la Regione». Insomma, stando a quanto dice il presidente, non solo non sono stati approvati i consuntivi ma le procedure di controllo e verifica continuano ad impiegare tempi biblici per metterlo nero su bianco: il classico problema nel problema.
Naturalmente, la specifica responsabilità politico-amministrativa sarebbe da ricondurre alla precedente gestione di Palazzo Santa Lucia, quella targata centrodestra: «Debiti ereditati che ci fanno rischiare la chiusura». Insomma, a quanto è dato di capire la cosa è seria e se la Regione chiuderà o meno (sempre che sia possibile) ci sarà da prendersela con Caldoro & C. Si vedrà.
Nel momento stesso in cui il De Luca governatore parlava dalla sala dell’hotel “Ramada” (la stessa delle famose «fritture di pesce» che scatenarono perfino un’inchiesta per voto di scambio, poi regolarmente naufragata) il De Luca commissario di governo per la sanità veniva “accerchiato” dalla inedita unità sindacale dei medici, tutti “dirigenti-medici” grazie alla riforma Bindi dei bei tempi dell’Ulivo. Hanno stilato un volantino-decalogo, simpaticamente ironico, per denunciare la crisi del comparto, la carenza di personale, l’assenza di mezzi e tutto armamentario classico delle doglianze di settore. A partire dal piano regionale ospedaliero in fase di approvazione. «Portatevi i letti da casa ove doveste essere ricoverati», scrivono i sindacalisti con riferimento alla cronica carenza di posti letto e barelle. Per non dire di questa: «Comunicare alla camorra che è vietato sparare fino a quando non saranno completati i Pronto Soccorso degli ospedali del Mare e del Cto». Provocazioni, ovvio, ma l’odore dello sciopero inizia a diffondersi sebbene i sindacalisti tacciano sull’argomento. Almeno finora. Molto dipenderà dalla decisione di De Luca di convocare le parti sociali.
Sul tavolo l’eterna questione dei precari che, a sua volta, stride con le enormi accumulazioni di prebende e danaro di ampie fette dell’universo medico cui non si riesce a mettere definitivamente mano. Ad oggi se ne calcolano almeno milleduecento unità da stabilizzare, cifra (e problema) ragguardevole che si trascina ormai da tempo immemore.
dal quotidiano “Libero” del 2 dicembre 2017