Sessantaseimila euro al giorno per venticinque anni fanno circa seicento milioni (1200 miliardi di lire): cifra con cui costruisci almeno quattro ospedali. E’ l’ammontare del danaro, ovviamente pubblico, ingoiato da non si sa bene chi -diciamo- per la mitologica bonifica dell’ex area Italsider di Bagnoli. Almeno finora, perché a partire dal 22 dicembre prossimo il calcolatore della spesa dovrebbe ricominciare a girare in senso verticale, aggiungendo alla già ragguardevole cifra sborsata chissà quante altre palate di soldi. «Avanti con le bonifiche, puntiamo sul Sud» ha twittato ieri il vice ministro alla Coesione sociale Claudio De Vincenti.
La novità, come ha scritto il Corriere del Mezzogiorno, sarebbe che Invitalia, società pubblica di investimenti individuata dal governo Renzi come soggetto attuatore del progetto, ha pubblicato i risultati delle “caratterizzazioni” dell’area, vale a dire l’esito dei carotaggi e delle analisi del terreno. Concludendo in modo sostanzialmente amaro: tutto da rifare, cioè la bonifica dovrà ripartire da capo. E tutti i soldi drenati dalle casse dello Stato a cosa sono serviti? Al solito: ad ingrassare intere classi dirigenti, napoletane e non, della politica, della burocrazia, delle professioni, del sindacato, dell’impresa e, indirettamente, pure del mondo dell’informazione, nell’ultimo trentennio occupato a celebrare fantomatici rinascimenti. Seicento milioni buttati al vento che hanno generato inchieste giudiziarie sghembe, fallimenti di società miste, qualche stanco processo sommerso da carte, perizie, memorie e atti che ormai non spaventano più nessuno. Libero ne ha scritto almeno una decina di volte nel corso degli ultimi anni, ma qui era solo macchina del fango.
Matteo Renzi durante uno dei suoi ultimi tour in Campania disse che era la volta buona per Bagnoli-Coroglio: ignorava forse il conto finale della partita, in gran parte masticata dagli uomini del suo schieramento politico, dal momento che si tratterà di bonificare anche quelle parti dell’area già interessata dai precedenti interventi. Ora, delle due l’una: o è stata inutile l’azione sin qui svolta o lo sarà quella futura, gira che ti rigira bisogna sganciare un altro bel po’ di danaro pubblico, la cifra esatta ancora non si conosce. Ma la conosceremo, partendo dal presupposto che soltanto gli studi di fattibilità vanno nell’ordine delle decine di milioni.
I risultati di Invitalia, società controllata dal ministero dell’economia, sono già stati validati da tre organismi di controllo, Ispra, Aspac (Campania) e Aspav (Veneto). L’ente fa sapere in una nota che «l’avvio delle attività di analisi di rischio specifiche del sito che in considerazione del livello attuale delle sostanze inquinanti presenti e del futuro utilizzo dei suoli, consentiranno di definire le più idonee modalità per effettuare le previste bonifiche, nonché per aggiornare le stime del loro costo». A conferma di quanto detto, non si sa ancora quanti altri soldi spenderemo per bonificare quella che un tempo fu una delle aree più “romantiche” del comprensorio, stuprata dalla scelta di piazzarvi una gigantesca acciaieria, con conseguente creazione di un quartiere operaio che ha da lustri lasciato il passo a ben altro. Invitalia conferma che «entro il 22 dicembre sarà pubblicata la gara per l’affidamento del progetto di bonifica delle aree a terra, comprensivo dell’area di colmata e degli arenili».
Un lavoro da far tremare i polsi, che necessiterebbe di un unico responsabile, magari commissariale, per evitare che finisca ancora una volta a tarallucci e vino.
Aver in qualche misura impedito, dai livelli centrali, che fosse De Magistris a gestire tutta l’operazione sembra per molti esser stata, ad ora, l’unica scelta azzeccata. Per il futuro, si vedrà.
dal quotidiano “Libero” del 14 dicembre 2017