Malasanità è concetto elastico, spesso abusato ma, altrettanto spesso, indicatore dei livelli di qualità della vita in territori determinati. Che la Campania non goda di buona fama è quasi ridondante affermarlo, al netto delle reali eccellenze medico-scientifiche riconosciute un po’ ovunque. Epperò. La cronaca e la statistica parlano chiaro, scandendo il ritmo con una semina di cattive notizie provenienti dagli angoli delle sue province. Napoli, va da sé, la fa da padrona, non foss’altro per l’enorme densità che caratterizza città e hinterland: più gente c’è, più è alto il rischio di errori, sciatterie, negligenze, fatalità. Tutte circostanze che al cittadino, specie se direttamente coinvolto, interessano poco. Il presidente De Luca, da poco anche commissario di governo alla sanità, dice che la Campania diventerà migliore della celebrata eccellenza nordista in materia. Vedremo.
Intanto, secondo il rapporto “OsservaSalute 2017” formulato dall’Iss e dall’Università Cattolica, presentato nella scorsa primavera, in Campania si muore per malasanità più che in ogni altra regione d’Italia. I dati si riferiscono all’osservazione statistica del biennio 2012-2013, descrivendo come causa prima dell’alto tasso di mortalità soprattutto il pessimo –nonché notorio- stile di vita degli abitanti, tra obesità, abuso di fumo, sedentarietà e diabete. Gli ultimi tempi, al di là delle cause strutturali indicate, pure fanno registrare diversi casi di “malasanità” genericamente intesa.
C’è la storia del giugno scorso della paziente allettata ricoperta di formiche all’ospedale San Paolo di Napoli, che ha fatto il giro d’Italia in un battibaleno grazie al tam tam dei social, su cui risulta aperta la rituale inchiesta della procura, ma c’è pure quella del successivo agosto nel famigerato “Loreto Mare” di un giovane che, grave dopo un incidente d’auto, ha dovuto attendere quattro ore per una Tac urgente che forse gli avrebbe salvato la vita, con il personale sullo sfondo a litigare su chi dovesse far cosa. Come pure c’è la incredibile vicenda di un anziano di Sassari residente in Campania, che agli inizi di luglio è morto dopo che nell’ospedale di Boscotrecase i chirurghi gli avevano operato il femore sano al posto di quello fratturato. Una volta scoperto il guaio l’uomo è rientrato in sala operatoria ma, verosimilmente, il suo anziano organismo non ha retto ad una seconda anestesia. C’è, ancora, la recente vicenda di un odontoiatra dell’hinterland, morto in preda a terribili dolori all’addome dopo un ping pong tra due ospedali, il San Giovanni Bosco, nel cuore di Napoli, e il nuovo Ospedale del Mare a Ponticelli: nel primo gli viene diagnosticata una pancreatite con calcolosi biliare grave, consigliando l’intervento in altra struttura per carenza di posti; nel secondo, tragicamente, non erano attrezzati per l’emergenza. Risultato: il medico ci lascia le penne. Per non dire di quanto accaduto in estate ad una 42enne di Bagnoli: le nove cardiochirurgie campane non avevano una sala operatoria libera tra l’8 e il 9 marzo; in gravissime condizioni, ricoverata al San Paolo per una sospetta miocardite, è morta dopo un’attesa di tre ore e il trasferimento alle 6 del mattino al Monaldi.
A Salerno un 69enne di Sorrento muore il giorno dopo l’intervento per una gangrena gassosa allo stomaco: entra il ospedale il 6 agosto, il 9 lo operano e il 10 muore. Anche qui si indaga. Come pure si indaga per l’inquietante scambio di neonati ad Avellino dove, grazie allo spirito di osservazione di uno dei papà che aveva notato che il braccialetto al polso del figlio era diverso, è stata evitata un’altra tragedia: e pensare che le mamme avevano allattato per due giorni il figlio altrui. A Cava de’ Tirreni è poi esplosa di recente un’asprapolemica, inaugurata dal deputato di Fdi Edmondo Cirielli, dopo la scoperta che la Chirurgia era senza ferri da circa due anni, un’era geologica per certi contesti. Stessa musica a Benevento e Caserta, dove pure si registrano incidenti, errori, fatalità non in linea con la media italiana. Colpe? Di tutti, quindi di nessuno, verrebbe da pensare. Spesso ci si appiglia alla carenza personale, alla stanchezza e ai turni massacranti: se però, ad esempio, consideriamo che nella sola provincia di Salerno ci sono circa 350 infermieri “imboscati” in ufficio invece che stare in corsia e nessuno prende provvedimenti, nemmeno De Luca, ecco che qualche spiegazione in più arriva.
dal quotidiano “Libero” del 16 novembre 2017
* Nella foto d’apertura ospedale S.Maria di Loreto nuovo, noto anche come Loreto mare- Napoli