Si susseguono incontri e ci si riempie la bocca con il tema della dispersione scolastica e di quanto sia in aumento il fenomeno nel nostro Paese, ma basterebbe dare un occhio a ciò che avviene nei tribunali per capire che non c’è argine alla fuga dalle scuole di migliaia di giovani in età scolare quando neanche i genitori ne sono più responsabili.
Secondo una sentenza emessa ieri dalla Cassazione “non possono essere puniti i due genitori filippini che nell’anno scolastico 2012-2013 non hanno iscritto il figlio, con un’età non specificata ma al di sotto dei dodici anni, a scuola”. Per due motivi. Il primo- come riporta salernonotizie.it– è che la causa era stata mal istruita al punto che, nelle carte inviate alla suprema corte, non si specificava se lo scolaro frequentasse le scuole medie o addirittura le elementari. Non a caso, dopo la sentenza la Cassazione ha rispedito gli atti al Tribunale di competenza per “ulteriori accertamenti”.
Ma è il secondo motivo quello più importante, e che dà indicazioni generali: la Legge Moratti del 2003, l’ultima intervenuta sul tema obbligo scolastico nel tentativo di alzare i limiti fin lì previsti a 15 anni, ha sì chiesto che il “diritto-dovere” all’istruzione e alla formazione fosse garantito per dodici anni a partire dall’iscrizione alla prima elementare (quindi fino ai 18 anni), ma poi non ha previsto pene per chi questo obbligo trasgredisce. La “Moratti”, di fatto, ha abrogato la legge del 1962 che estendeva l’obbligo scolastico fino al conseguimento della licenza di scuola media inferiore. Ancora, grazie a una serie di successive abrogazioni realizzate nel 2010, i genitori oggi non hanno responsabilità penali di fronte a un figlio che non frequenta le medie inferiori.