Annullata con rinvio al giudice civile l’assoluzione in appello della religiosa e degli altri indagati per gli abusi all’asilo “Paolo VI” di Vallo: i fatti ci furono, ora risarcire il danno. Parole di fuoco in udienza verso la Corte d’Appello di Salerno
Sciatta, viziata da illogicità e contraddittorietà, senza motivazione o, quando vi sia, con motivazione apparente, a tratti con contenuti addirittura falsi, non dal punto vista del diritto ma da quello “storico”, cioè non sarebbero proprio veri. Insomma, è (sarebbe) un disastro la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Salerno l’11 marzo 2016 che ha assolto gli imputati per gli abusi sessuali consumati su alcuni bambini dell’asilo “Paolo VI” di Vallo della Lucania.
Parole forti, pesanti, pronunciate dal sostituto procuratore presso la Corte di cassazione, Pietro Gaeta, che di quella sentenza ha chiesto l’annullamento, associandosi alle richieste delle parti civili, seppur ai soli fini civilistici, come tra poco vedremo. Stiamo parlando del “caso suor Soledad” -come sintetizzato dalla liturgia giornalistica- dal nome della principale protagonista della vicenda, la (ex) religiosa di origine capoverdiana Carmen Soledad Verde Bazan. La donna, accusata di abusi sessuali su minori, era indagata insieme a due consorelle, dirigenti della scuola, le italiane Agnese Cafasso e Giuseppina De Paola, chiamate a rispondere di favoreggiamento personale.
I fatti sono noti, risalgono a circa sette anni fa e sfociarono in uno scandalo dalle dimensioni incalcolabili -come tutti i casi del genere- e con effetti tuttora in corso: di certo sotto il profilo giudiziario, dal momento che la suprema corte (III sezione penale, presidente Rosi, relatore Gentili), appena otto giorni fa ha disposto che quanto decretato dai giudici salernitani del II grado (Tringali, Clemente e De Simone) venisse annullato, rinviando per la nuova decisione ai magistrati del ruolo civile per la quantificazione del danno. Il che equivale a dire che i fatti ci furono, che quegli abusi sui bambini si verificarono e, dunque, gli indagati ne ebbero la responsabilità: altrimenti perché ordinare ad un altro organo della giurisdizione di stabilire il quantum risarcitorio? Ed è qui che il punto si impunta, diciamo, in quanto nessuna responsabilità penale è stato possibile addebitare alle ex consorelle del “Paolo VI” dal momento che la procura generale di Salerno non ha presentato uno specifico ricorso, esperito invece dalle parti civili. Le quali si son viste accogliere le richieste, ottenendo un contemporaneo, indiretto riconoscimento della fondatezza delle ragioni proprie, salvando al tempo stesso l’impianto generale dell’accusa avanzata dall’allora procuratore capo di Vallo delle Lucania, Alfredo Greco. Sappiamo infatti che in I grado ci furono condanne, ribaltate poi in sede d’appello, con grande clamore conseguente, tanto almeno quanto ne ebbe la sentenza iniziale.
Ma i processi, si sa, sono un cammino lungo e tortuoso, ricco di insidie per ognuna delle parti, fatti di storie e circostanze sottostanti che, indipendentemente dalle ragioni che li hanno determinati, condizionano l’esito del tutto, in un senso o nell’altro. Come pure ci sono “stranezze” di natura endogena, relativamente alla gestione degli uffici giudiziari, che indurrebbero perplessità in qualunque osservatore: è il nostro caso, con una procura generale che chiede due cose diverse contemporaneamente, cioè un sostituto procuratore (Consoli) l’impugnazione dell’assoluzione di I grado di altri due indagati (il “fidanzato” di suor Soledad, il muratore Antonio La Bruna e il fotografo Antonio Rinaldi, per altre ipotesi di pornografia minorile, assoluzione ora confermata) e un altro sostituto (Russo) il ribaltamento di tutte le condanne del I grado, comprese le due impugnazioni ora citate, smentendo così la posizione del collega dello stesso ufficio. Non esattamente il massimo che si possa sperare in termini di equilibrio e di garanzia di chiarezza, né per gli indagati, né per le altre parti in causa. Senza dire poi del fatto che ci sono voluti due anni (un’eternità per chiunque nel processo non sia togato) per accorgersi della posizione di uno dei membri del collegio giudicante di II grado, già presente in quello del Tribunale della Libertà, quindi del tutto incompatibile. Cose che accadono. E qui ci fermiamo.
Per ora la Cassazione ha stabilito che il giudice civile dovrà misurare il danno cagionato ai minori dell’asilo, della cui relativa sentenza conosciamo solo il dispositivo, in attesa delle motivazioni, oltre alle non entusiasmanti parole della massima procura generale dirette sia allo scritto dei giudicanti salernitani, sia alla requisitoria della pubblica accusa.
Morale (processuale): le violenze sui minori nell’asilo Paolo VI ci sono state, niente galera né pena per nessuno perché le vie della giustizia sono infinite. Ora pagare i danni.
dal quotidiano “Le Cronache” del 18 aprile 2017