Tre sigle provinciali hanno scritto al commissario liquidatore della coop impegnandosi per l’elemosina ai pazienti disabili: che continuano ad essere sotto sequestro nell’indifferenza generale. Mentre si aspetta il 22 per lo sfratto. Le responsabilità di Cariello e i tre pazienti morti negli ultimi anni.
“Le OO.SS Provinciali di cui all’intestazione, congiuntamente alle proprie R.S.A. si attiveranno fin d’ora a ricercare risorse per i pazienti allocati presso il centro ISES di Eboli. Predetta solidarietà verrà richiesta, a cura delle scriventi segreterie provinciali, anche alle associazioni territoriali, e con esse ai cittadini, che vorranno concorrere unitamente alle OO.SS. scriventi in questo processo transitorio facente parte dell’esercizio provvisorio concesso dal Ministero”. Quello che avete appena finito di leggere e’ il testo originale, punteggiatura e maiuscole comprese, di una nota dello scorso primo agosto indirizzata al commissario liquidatore della cooperativa Ises, avvocato Angela Innocenti (che ha di recente fatto un ricorso al Tar per far dichiarare l’Ises “danneggiata” dall’Asl…) siglata dai vertici provinciali e locali di tre organizzazioni sindacali: Antonio De Sio per la Cisl, Angelo Di Giacomo per la Cgil e Rolando Scotillo per la Fisi/Fials. La Uil non compare, avrà avuto le sue ragioni.
Bene, quando si dice che la via dell’Inferno è lastricata di buone intenzioni. Il meraviglioso sindacalese che anima il linguaggio di questa comunicazione purtroppo capovolge la tensione solidaristica, proiettando le tre associazioni di lavoratori dalla parte opposta: è la conferma, cioè, della partecipazione al sequestro di persona di ventisei disabili, trattenuti “sine titulo” nella palazzina di piazza Pendino di Eboli. Non è la prima volta che questo giornale (che, sinceramente, comincia pure a stufarsi) scrive delle responsabilità riconducibili nel corso degli anni anche dai sindacati: basti osservare come, dinanzi ad una situazione ormai chiara da almeno quattro anni, abbiano tutelato i posti di lavoro. Chiedere agli ex lavoratori. Del resto chi conosce come si muovono spesso i sindacati in alcuni contesti della macchina pubblica, sa che i fiancheggiamenti, diretti o indiretti, non rappresentano una novità.
Il documento dell’1 agosto 2016 si inserisce nella medesima tradizione: ben sapendo che la partita era disperata, e non da oggi, praticamente impossibile da recuperare per almeno cinquantamila ragioni che non vorremmo ripetere per la miliardesima volta, hanno partecipato al balletto accanto ai personaggi in cerca d’autore piovuti da più parti e ai vari sindaci succedutisi nel tempo, fino a giungere a quello attuale, Massimo Cariello, ormai corresponsabile del disastro. È un fatto, purtroppo, non solo un’opinione che il primo cittadino di Eboli si sia incartato, giocando una partita di difficile comprensione per chi voglia seriamente osservare l’evoluzione della storia: Cariello non è partito dai fondamentali (che non lo abbiano fatto i suoi predecessori è anche ovvio), cioè dalla tutela di quei pazienti che sapeva bene essere sotto sequestro, tenuti bloccati al di fuori della legge e da troppo tempo senza adeguata assistenza, ma ha parlato di tutto con tutti, lisciando il pelo qua e là, piazzando sue rappresentanze nel cda uscente della coop, arrivando a mettere sul piatto un rimedio peggiore del male con la cosiddetta Casa del pellegrino nel centro storico: su questo punto prenotate pop corn e patatine che il film sarà avvincente. Come lui, per le ragioni più diverse, il resto della classe dirigente e meno dirigente attuale.
Impegnarsi nella ricerca dell’elemosina per quelle persone letteralmente prigioniere, vittime vere di una gigantesca truffa che nessuno si decide a stroncare alla radice (no procura, no carabinieri, no polizia, no Asl, no finanza, no vigili urbani, no deputati locali, no senatori locali, no consiglieri comunali, no maggioranza, no minoranza, no assessori, no assistenti sociali, no mezzi di comunicazione, no clero, no “società civile”, no associazioni, no volontari, no umanitaristi vari, insomma se ne fottono tutti, scartoffie a parte) sembra non sia stato neppure sufficiente ad evitare lo schianto: quello del prossimo 22 novembre, quando lo sfratto dell’immobile diverrà esecutivo. Sempre che non si cavilli un altro po’: è dell’altro giorno la notizia di un vertice tra Cariello e il commissario Innocenti in cui il primo avrebbe chiesto di prendere altro tempo spostando l’ennesimo termine (ora sarebbe il 10 dicembre) anche se non si capisce per far cosa. Uno sgombero che avrebbe dovuto chiedere il sindaco il primo giorno del suo insediamento: invece ventisei disabili sono stati trattenuti illegalmente per altri lunghi mesi. Punto. Il 30 dicembre del 2013 uno di essi, Giuseppe Federico, 26 anni, di Torre del Greco, in regime residenziale, morì all’improvviso. Succede. Succede meno che nel volgere di 48 ore sia stato fatto tutto, esame medico compreso: la salma è stata subito cremata (per risparmiare? Le spese pare siano state pagate con i soldi accantonati sul libretto postale intestato al ragazzo ma usato da tempo da delegati) e il funerale è stato officiato a Capodanno 2014, alle 9 del mattino, che non è proprio una prassi. Voci di dentro suggeriscono che il ragazzo sia morto molte ore prima che il personale se ne accorgesse: un confronto con i turni di quelle ore potrebbe sollevarci tutti da ogni legittima perplessità. Un funerale tenuto nella parrocchia, tra l’altro, di un sacerdote che dell’Ises è stato consigliere di amministrazione per tanti anni.
Il 30 luglio del 2001 si registrò un’altra morte di un paziente, Alessandro Galiano, annegato nelle acque della colonia Peter Pan in località Campolongo. Lo scorso anno ne è morto un altro ancora dopo lunga agonia in ospedale, senza il personale adeguato. La cronaca obbliga a volte al ricorso ai precedenti.
Mentre potrebbe scoppiare il caso dei pazienti cosiddetti “tribunalizzati”: quelli, cioè, affidati alla struttura per decisione giudiziaria, la vigilanza dei quali con i relativi poteri di controllo è di competenza di magistrati specializzati. Ma questa è un’altra storia.
dal quotidiano “Le Cronache” del 7 novembre 2016