Transazione tra l’azienda di via Nizza e il noto centro di Pellezzano, “Cedisa“, per quattro anni di prestazioni autorizzate da un contratto che non compare agli atti. Il centro ha contenziosi milionari con il Ssr.
L’azienda sanitaria locale di Salerno ha ricomposto una lite con il noto centro medico diagnostico “Cedisa”, vertenza che durava da diverso tempo. Come? Con una legittima transazione proposta su impulso dell’impresa privata salernitana ai vertici di via Nizza, pratica diffusa tra i contraenti di tutto il mondo. La struttura di Capezzano in Pellezzano sosteneva di aver diritto a circa tre milioni di euro (precisamente 3.075.216,16 euro in linea capitale) per prestazioni di servizi erogati al cittadino per diagnosi ed esami effettuati dal 2012 fino al maggio 2016 a bordo di un’unità mobile itinerante (i servizi cosiddetti Pet/Tc). L’Asl non ha invece riconosciuto quel credito a lungo, come spesso avviene quando tra uffici, vertice politico dell’Asl, imprese e personale non ci si intende: in altri casi, come abbiamo provato a spiegare ieri, ci si intende fin troppo.
Alla fine l’accordo è stato trovato: il 5 agosto 2016 il direttore generale Antonio Giordano firma la transazione, pubblicata poi all’albo pretorio l’11 ottobre scorso (delibera 99 del 7/10). Tutta la pratica è stata curata dal direttore degli Affari legali dell’Asl, l’avvocato Walter Ramunni e controsiglata dal direttore amministrativo, Antonella Tropiano, e da quello sanitario, Maria Vittoria Montemurro. Tutti i timbri ci sono, non manca nessuno. L’azienda sposa per intero la linea. Tutto regolare.
Dei tre milioni e rotti rivendicati il centro medico incasserà “solo” 2,4 milioni circa, con un risparmio per l’ente di poco più di 600mila euro. A voler essere pignoli e burocratici (trovandoci in ambiente) l’Asl pagherà a Cedisa la sorta capitale per il 2013 e il 2014 pari a 1.755.981,93 euro, rinunciando ad un terzo degli interessi moratori maturati su questa stessa somma (circa 350mila euro); altri 580 mila euro, senza interessi moratori per la sorta capitale del 2015; ancora 241mila euro per l’anno 2016 (fino a maggio) con la rinuncia a circa 25mila euro di interessi moratori per il biennio 2015/2016; il centro rinuncia poi a ogni pretesa sull’anno 2012 per quasi mezzo milione (492.587,60 euro) e agli interessi moratori dovuti per quasi 100mila euro. C’è poi al punto 8 della transazione anche la rinuncia a qualsiasi altro tipo di pretesa, diritto, etc.per tutti i corrispettivi maturati nel periodo in contestazione, con la dichiarazione espressa di non aver ceduto alcunché a soggetti terzi. Insomma, burocratese e giuridichese a tutto spiano, com’è giusto che sia in questi casi.
Fin qui ancora tutto torna. Con alcuni “ma”, che sorgono spontanei riflettendo su alcuni dati.
Premesso che una boccata d’ossigeno alla struttura, che le cronache locali a lungo hanno raccontato essere alle prese con serie difficoltà finanziarie, non può che rappresentare una bella notizia, esattamente come l’indicato risparmio per le casse pubbliche di circa 600mila euro, va considerato al contempo l’idea che potremmo essere dinanzi ad un clamoroso caso di disparità di trattamento tra imprese, cittadini ed utenza in generale nei suoi rapporti con l’amministrazione finanziaria pubblica, sia essa sanitaria che non sanitaria. Per capirci: se io ho un debito con l’erario, indipendentemente dalle ragioni su cui si fonda, nell’incassare rimesse pubbliche troverò non una porta ma interi palazzi a sbarrarmi la strada. Ancora: se ho contenziosi con il “pubblico” generalmente inteso oppure con lo stesso ente con cui intrattengo altri rapporti, ed intendo farmi onorare ulteriori impegni economici, sarà difficile riuscirci tenuto conto della intransigenza e della faccia feroce che l’ente stesso manifesterà. Senza darmi un tubo, peraltro. Giusto? Sbagliato? Non è questo ora il punto. Il punto è che sarebbe interessante capire come sia stato possibile conciliare erogazioni di danaro in favore di una struttura debitrice nei confronti del Servizio sanitario regionale per alcune decine di milioni di euro. Vecchie dispute, rigeneratesi col decorso del tempo e che definiscono un panorama complicato per chiunque rivendichi crediti in presenza di contestuali posizioni debitorie, accertate o in fase di accertamento.
Nel nostro caso sembra che le cose siano andate diversamente. Colpisce un altro dato: quel danaro è rivendicato sulla base di tre decreti ingiuntivi senza l’indicazione del titolo originario su cui si fondava la pretese di Cedisa. Uno solo di essi impugnato dall’Asl (con sconfitta non appellata) e gli altri due lasciati “morire” senza accenni di difesa da parte di via Nizza. Per riconoscere tali importi una procedura più lineare, con la chiara indicazione del contratto originario col quale si autorizzava la struttura ad effettuare quelle prestazioni, avrebbe facilitato il compito all’estemporaneo osservatore. Il dubbio sull’esistenza del contratto iniziale, che avrebbe inoltre giustificato il pagamento degli interessi moratori (parliamo di quasi il 10%, a differenza di quelli legali che non sono neppure l’1%) avanza prepotente perché se ci fosse stato nessuno si sarebbe sognato di non citarlo nelle varie fase della contestazione e della transazione.
Infine: durante le precedenti gestioni (Bortoletti, Squillante) durate anni, la strada transattiva nessuno voleva percorrerla. Quei soldi non intendeva sganciarli l’Asl.
Antonio Giordano, nuovo Dg, invece firma un “pacchetto” verosimilmente complicato e ricco di insidie, come tutti i casi analoghi. Non essendo egli uno sprovveduto grazie ad una lunga esperienza di settore in primarie aziende sanitarie napoletane, avrà avuto ragioni fondate per liquidare la pratica a soli sette giorni dal suo insediamento.
dal quotidiano “Le Cronache” del 4 novembre 2016