Nella nuova “caput mundi” della politica della Campania, a Salerno, le cose apparivano già segnate. Se la tendenza emersa dalle urne nelle prime ore non dovesse cambiar rotta per un beffardo gioco di nomi e parole il nuovo sindaco di Salerno si chiamerà Napoli. Con questi numeri, secondo i primi exit poll diffusi nell’immediatezza della chiusura delle urne: a lui tra il 55 e il 60% (nella notte poi diventerà quasi il 71%, ndr), a Roberto Celano, appoggiato da un pezzo di centrodestra, è andato invece tra il 13 e il 16% (che dopo si ridurrà a poco meno del 10%, ndr). Il resto a seguire.
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Da Vincenzo De Luca a Vincenzo Napoli, dunque, lo strettissimo collaboratore del governatore, nonché suo facente funzioni alla guida del comune fino a poche ore fa che riproduce il modulo vincente. Distillato di “deluchismo”.
Vincenzo Napoli si è presentato con un’armata di sostegno tutta di liste civiche (sei) perché qui, nel cuore del nuovo potere campano, è quasi vietato candidarsi col simbolo del Pd. Porta male, meglio non cambiare un’abitudine che da circa un ventennio al grido di “Progressisti per Salerno”, schiaccia ed umilia tutti, a sinistra ma soprattutto a destra.
Basti pensare che qui c’è stato il record italiano della frantumazione del centrodestra, con cinque-candidati-cinque della stessa area politica: una lista per Fratelli d’Italia (Antonio Iannone), una per il Popolo della famiglia (Raffaele Adinolfi), due civiche per un ex Pdl (Antonio Cammarota) una per Italia Unica (Cassandra) e quattro per Roberto Celano (Fi, Rivoluzione Cristiana e altre due civiche). Con un candidato cambiato in corsa, sacrificato all’ultimo minuto per far convergere i berlusconiani sul pugnace Celano (il portavoce dell’ex governatore Caldoro, il giornalista Gaetano Amatruda) e sullo sfondo di una lotta pluriennale tra gruppi dirigenti dal passo incerto obbligati alla «ritmica» del gruppo di Mara Carfagna (candidata invece al consiglio comunale di Napoli), si consuma la disfida di Salerno con un centrodestra spacciato. Almeno per quanto appare sinora.
Gli altri? Non pervenuti, eppure erano in dieci a volere la poltrona del sindaco (con oltre 750 candidati consiglieri su circa 115mila elettori). A partire da quei 5 Stelle che qui sono letteralmente evaporati appena hanno iniziato a fare le prime riunione pre elettorali e senza il web. Manco la lista sono riusciti a presentare, litigando di brutto e trascinando dentro anche le evanescenti rappresentanze parlamentari locali. Per finire poi un po’ in tribunale -perché il riflesso condizionato della denuncia scatta anche tra loro- e un po’ disseminati in qualche generosa lista simil grillina. Come quella del giovane Dante Santoro, forte di un dignitoso 6%.
Certo, c’era anche la sinistra sinistra. Ma, appunto, c’era. Il candidato, già comunista e diessino, Giampaolo Lambiase, non è andato oltre un risultato di rappresentanza della sinistra residuale ma ottenendo comunque un seggio in consiglio comunale.
(dalla prima edizione del quotidiano “Libero” del 6 giugno 2016)