OmissisNapoli, San Pietro a Majella: suore prigioniere nel convento «okkupato»

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Immaginate la scena: un gruppo di famiglie più o meno napoletane forza il portone d’ingresso di un convento abitato da suore, irrompe nelle stanze e le occupa. La cosa va avanti per oltre due mesi: nel frattempo, inutile dirlo, non accade nulla. Proprietà privata, diritto alla sicurezza, alla libertà di movimento e perfino di culto, alla tutela del domicilio e molto altro vanno – è il caso di dire – a farsi benedire. L’ha raccontato ieri il Corriere del Mezzogiorno

 

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Succede tutto al convento di San Pietro a Majella di Napoli, “okkupato” da donne, uomini e bambini aderenti a un centro sociale con il programma inscritto nel nome: “Magnammece ‘o pesone”, che in italiano vuol dire “I soldi per l’affitto meglio mangiarseli”. In pratica, il sogno di tutti. 

A Napoli invece è già realtà, specie se si considera che l’occupazione nasce per scongiurare un’ignobile speculazione liberista sull’immobile, forse destinato alla riconversione in hotel: è pur sempre di proprietà privata, seppur di un ordine religioso, che smentisce però la voce. Ma tanto è bastato al centro sociale che vuol mangiarsi i soldi del canone di locazione per confinare le povere suore di San Pietro nelle stanze all’ultimo piano. Due ore al giorno sono state concesse per pregare insieme, dalle 18 alle 20, poi tutto ritorna centro sociale. Le altre stanze sono distribuite tra le 30 persone che se ne sono appropriate, l’area della mensa è condivisa, così come altri spazi dedicati alla socialità: e alla “lotta per la resistenza”, ora per la casa, ora per la Palestina, ora per le altre stravaganze incoraggiate dal coprolalico sindaco De Magistris (vedasi recente attacco a Renzi). Immaginare analoga tolleranza in immobili di proprietà della Regione, con un De Luca ora al vertice, sarebbe impossibile: con l’ex pm funziona invece al contrario. E San Pietro a Majella è solo uno tra gli esempi.

«Fu terribile, un atto di violenza che non dimenticheremo» -racconta un’anonima suora al Corriere del Mezzogiorno- Forzarono l’ingresso, sentimmo trambusto, gente che entrava, urlava. Sono trascorsi due mesi e all’inizio è stato terribile. Ora un po’ ci siamo abituate, ma certo non può essere una situazione ideale. Questa è una casa religiosa, è la nostra casa. Con le nostre abitudini, le preghiere e l’intimità sacra di un convento. Non usciamo mai dalle nostre stanze per paura che occupino anche quelle».

C’è chi dice che così si fa: «lo dice anche il Papa, prima i poveri» si sente sotto il palazzo. Poveri sì, e già politicamente correttissimi a giudicare dalla priorità data al gentil sesso nei manifesti: «La casa è di tutte e tutti», scrivono. Purché non siano suore.

(dal quotidiano “Libero” del 20 maggio 2016)

Peppe Rinaldi

Giornalista

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