Tra poco saranno mille i giorni trascorsi in carcere da Nicola Cosentino in attesa di giudizio: cioè senza ancora una sentenza di condanna e con procedimenti in corso il cui lento e burocratico incedere non incoraggerebbe molte speranze.
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Tra le accuse che hanno seppellito in cella l’ex uomo forte del centrodestra che fu, oltre al «quasi-reato» del concorso esterno in associazione mafiosa, c’è anche quello di corruzione di agenti di polizia penitenziaria per ottenere trattamenti di favore.
I fatti. Cosentino nell’aprile 2015 fu trasferito in fretta e furia dal carcere di Secondigliano a quello di Terni, dove tuttora si trova. Le “prove” della corruzione degli agenti furono trovate nella cella: un Ipod e generi alimentari non autorizzati. Al tempo stesso, le rituali intercettazioni avevano consentito di delineare un quadro associativo fatto di favori, raccomandazioni (oggi si chiamano «traffico di influenze») e scambi utilitari vari tra l’ex uomo politico e, in particolare, un agente penitenziario addetto in quell’istituto. Finirono così nel nuovo tritacarne dell’antimafia non soltanto Cosentino ma pure la moglie, Marisa Esposito e suo fratello Giuseppe, già consigliere comunale di Forza Italia a Trentola Ducenta, piccolo centro in provincia di Caserta, e la guardia carceraria Umberto Vitale. Tutti raggiunti da misure cautelari.
L’ex sottosegretario all’Economia del ministro Tremonti scelse il dibattimento per ovvie strategie difensive, gli altri tre coindagati/parenti furono invece colpiti da condanna al termine del rito abbreviato. E’ in corso l’appello. Seguirono anche alcuni strascichi polemici, seppur rari, quando i giudici vietarono che Cosentino ricevesse le visite della moglie. Poi tutto è tornato sotto silenzio.
Fino all’altro giorno, quando la lettura alternativa dei fatti, ha consentito all’imputato di dire finalmente la sua e lasciarla agli atti di un processo. L’Ipod? «Era di un altro detenuto, che l’ha dimenticato quando è stato trasferito ad Asti» ha detto Cosentino. Circostanza verificabile, peraltro sin dall’inizio, il rischio di un’accusa di calunnia non certo alleggerirebbe la sua posizione. I generi alimentari? «Entrati per i canali ufficiali» ha replicato: se è annotato nei registri del carcere -come dovrebbe- c’era anche allora, altrimenti sono nuovi guai se non risultasse. E i favori agli agenti? «Mai fatto alcun favore sebbene le richieste ci siano state. In un solo caso ho indirizzato un agente verso una coop sociale (legale, ndr) dove poi la moglie ottenne un lavoro». Che tipo di lavoro? «Due ore a settimana».
(dal quotidiano “Libero” del 6 maggio 2016)