OmissisCaivano: troppe luci accese sul Parco Verde

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I riflettori accesi su Caivano sono un problema, ci sono dodici piazze di spaccio da controllare e migliaia di euro da far entrare in cassa a cadenza oraria. La tragedia della piccola Chicca è una rogna nella rogna per i gruppi criminali che controllano il territorio: da 72 ore sono sotto pressione più del solito, non tanto per il naturale aumento di carabinieri e poliziotti dopo la scoperta dell’Inferno, quanto per i flash, le videocamere e i taccuini tornati a frotte all’indomani dell’arresto di Raimondo Caputo, il presunto assassino della bambina violentata e lanciata nel vuoto dal palazzo “C” del Parco Verde nel giugno del 2014. Aveva soltanto sei anni.

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Presenze ingombranti, fastidiose, giornalisti ovunque a far domande, spesso surreali più di questo posto maledetto, su cui nessuno sembra voler mettere mano una volta per tutte : c’è da continuare la “narrazione” dei colletti bianchi corrotti e collusi, non resta molto tempo per la realtà. Che racconta tutt’altra storia.

Le statistiche parlano di circa dieci chili di cocaina a settimana (compresa la versione in cristalli, il terribile “crack”), di almeno altri dieci di eroina, tornata di gran moda per prezzo e qualità, per non dire di circa il doppio di hashish, tutto smaltito seguendo un modulo organizzativo di tipo militare: stradine interne, antri, vialetti, piccoli colonnati e cancelli piantonati a turno da addetti ai lavori, ventiquattr’ore su ventiquattro. Tutto a governare un tragico via vai di tossicomani e consumatori occasionali vari, attratti in zona come api sul miele per un’offerta di mercato molto competitiva, non foss’altro per i grandi numeri del business. Parliamo di circa trecentomila euro che ingrassano ogni mese un singolo capo di una fazione di venti/trenta persone, confusa nell’arcipelago di gruppi e sottogruppi che distingue la camorra dalle altre organizzazioni criminali. Da una parte della metropoli c’è Scampia, dall’altra il ‘Parco Verde’ di Caivano, uno dei tanti ossimori socio-urbanistici sparpagliati sul territorio: di verde si intravede solo il marcio dell’umidità nelle costruzioni fatiscenti, mentre tutto intorno è il grigio il vero colore naturale.

Fortuna Loffredo, così come il piccolissimo Antonio (l’altro bimbo di due anni, figlio della convivente di Caputo, morto pure lui precipitando nel vuoto dallo stesso palazzo) e un numero ancora imprecisato di ulteriori bambini -se ne contano tra i residenti circa cinquecento- abusati o molestati, venivano da questo mondo: cui si somma il degrado interiore di singoli individui, spesso poco più che alfabetizzati, dentro famiglie che pullulano di bambini nati sovente in più relazioni intrecciate, nel sottofondo di violenza, paura e omertà che regnano incontrastate. Da qui, tanto per capirci, nell’estate di un paio di anni fa partì un corteo di almeno 200 persone diretto nel vicino ospedale per prendere la salma di un boss appena morto: volevano onorarla a loro modo, furono attimi infernali, non solo per le forze dell’ordine. Insomma, un luogo che è un manuale di sociologia in aggiornamento costante.

Ora il mercato accusa uno stop forzato per la caciara mediatica, e così pure quelli che affittavano gli spazi dai clan per vendere la droga nella zona del Parco, si trovano col problema del flusso di danaro interrotto improvvisamente. Quantomeno molto ridimensionato. Se si considera che sul posto è stata fatta addirittura una sorta di lottizzazione degli spazi ad opera degli “urbanisti” dei narcos  locali, con relativa destinazione d’uso (i posti più riparati, come l’area del palazzo da dove è volata giù la piccola Chicca Loffredo, costerebbero circa 500 euro al giorno, da versare a un singolo capobastone in cambio di pochi metri quadri per spacciare merce da loro stessi acquistata) si capisce pure che il ritardo nei pagamenti, seppur involontario, avrà un peso decisivo sulle prossime faide e sui prossimi morti ammazzati. La camorra in tv e sui giornali è una cosa, annusare l’aria di strada ne è un’altra. Chiedere ai napoletani che vivono lì.

Intanto, dopo l’arresto di Raimondo Caputo e della sua convivente (già ai domiciliari) ci sono altre due persone indagate nell’ambito della stessa vicenda: si tratta di due coinquiline della famiglia Loffredo, accusate di false dichiarazioni al pubblico ministero. Come già Libero scriveva ieri, una è quella che raccolse la scarpetta destra di Chicca rimasta sul terrazzo, facendola poi sparire. Aveva paura che, essendo stata rinvenuta vicino alla casa del figlio ristretto ai domiciliari per altre storie, questa circostanza potesse aggravarne la posizione. Le donne sono state intercettate mentre parlavano proprio di questo, che era il contrario di quanto messo a verbale in precedenza, facendo scoprire un altro segmento di verità nella ripugnante vicenda. Anche il presidente della repubblica Sergio Mattarella ha auspicato una indagine «rapida e severa».

Ieri mattina, intanto, dinanzi al gip Alessandro Buccino Grimaldi e il pm di Napoli Nord Claudia Maione, c’è stato l’interrogatorio di garanzia del presunto assassino di Fortuna. Raimondo Caputo, già in carcere perché accusato di molestie in danno della figlia di tre anni avuta dalla convivente, ha continuato a difendersi: «Non ho ucciso Fortuna, non ero sul posto quando lei è caduta, né ho mai commesso abusi sessuali». 

(dal quotidiano “Libero” del 1 maggio 2016)

Peppe Rinaldi

Giornalista

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