Per circa sessanta bambini disabili, tra i sei mesi e i dieci anni, non ci sono soldi per cure e terapie: ma ce ne sono per un centro di riabilitazione che, pur non avendo notoriamente una sola carta in regola, ha recentemente incassato un po’ meno di un milione di euro. Accade nell’Asl di Salerno, tra le più grandi d’Italia, nel Distretto 64 Eboli-Buccino.
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Tutto nasce dalla storia di una bambina di circa nove mesi, appena dimessa dal centro di alta specializzazione dell’ospedale Santobono di Napoli, tra le eccellenze della pediatria italiana e del trattamento delle nascite premature, problema sempre più diffuso, legato in particolare all’aumento dell’età media delle gestanti. La bambina infatti è nata con molte settimane d’anticipo, poche centinaia di grammi al momento del parto, uno strazio per chiunque vederla riempita di fili, flebo, bisturi, respiratori: dopo il miracolo del salvataggio ora serve un percorso per sostenerne il sistema neuro-motorio e lo sviluppo più o meno armonico delle facoltà cerebrali. Ma trova un muro all’Asl, per questione di danari su cui, come vedremo, neppure poteva esser messa bocca da parte dei dirigenti del servizio.
Libero intercetta la notizia, parla con la famiglia della piccola e scopre che non soltanto a lei ma pure ad altri sessantadue bambini non viene riconosciuta l’assistenza: e questo dal novembre scorso, il che significa che il numero cresce man mano che si va indietro nel tempo. «Non possiamo sforare i tetti di spesa»- si sono sentiti ripetere i genitori di piccoli esseri umani afflitti ora dai postumi di una meningite, ora da ritardi mentali congeniti, disturbi neurologici, motori, linguistici, visivi e handicap vari. In pratica, gli ultimi tra i deboli cui opporre freddi calcoli ragionieristici. Ma è veramente così? Approfondendo l’argomento, emerge che i responsabili del distretto 64 dell’Asl, tra l’altro neuropsichiatri infantili, in presenza di strutture con capacità operativa massima (la cosiddetta Com) non potrebbero neppure farla una valutazione: non è solo questione di competenze ma di veri e propri obblighi di legge, visto che sarà l’ufficio centrale dell’Asl a valutarne i profili finanziari. E allora perché è successo? Qui sta il punto, che al lettore appare uno dei tanti fatti di cronaca ma che per tante famiglie, spesso sprovviste di mezzi opportuni, è un’autentica tragedia esistenziale. Per non dire dei bambini.
I funzionari pubblici, tra l’altro, hanno invocato i famosi “tetti di spesa” assegnati dalla Regione non solo senza titolo ma anche riferendosi a qualcosa che non esiste se non sulla carta: i tetti per il 2015, tanto per capire come funziona spesso la sanità in alcuni territori, ad oggi ancora non si capisce quali siano non essendo stati formalmente determinati. Per non riconoscere l’assistenza a 63 bambini, però, i tetti di spesa sono stati inseriti nelle pratiche di diniego più di una volta: un terzo dei piccoli ha avuto la fortuna di esser caricato da un centro locale che li mantiene in trattamento sopportandone i costi del personale, vitto, alloggio e terapie senza che l’azienda sanitaria rimborsi un centesimo. Finché può durare dura, poi non si sa. Inutile dire cosa sia la vita di tutti i giorni per gli altri due terzi e per le loro famiglie, con le loro vie crucis tra i centri a caccia di “posti disponibili”.
Parliamo della stessa Asl e dello stesso Distretto sanitario (e degli stessi dirigenti) che nell’agosto scorso, inspiegabilmente, hanno erogato al centro Ises, di Eboli, oltre settecentomila euro. Questa coop affiliata alla Lega delle cooperative di Bologna, in via di commissariamento dal Mise, risulta completamente illegale, senza autorizzazioni, requisiti di legge e accreditamento. Altro che tetti di spesa.
(dal quotidiano “Libero” del 9 aprile 2016)