E’ una storia classica, come il cognome del sindacalista napoletano beccato in flagranza di estorsione ad un imprenditore: Antonio Esposito, un dirigente della Uil, anzi, un ex dirigente dei Trasporti fino a ieri mattina, quando i militari della Guardia di Finanza di Portici gli hanno stretto le manette ai polsi pochi attimi dopo aver contato duemilacinquecento euro appena incassati dalla vittima.
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In quattro e quattr’otto è stato sospeso dall’organizzazione dei lavoratori, tale e tanta è stata l’evidenza del reato, ripreso da una videocamera opportunamente nascosta. Ora l’uomo è in una cella del carcere di Poggioreale, a Napoli, in attesa delle procedure giudiziarie del caso.
«Pagami oppure la pace aziendale puoi scordartela, ti scateno contro i quattordici miei iscritti»: è questo che Antonio Esposito, in sostanza, dovrà provare a giustificare al magistrato che, presumibilmente lunedì mattina, lo interrogherà per l’udienza di convalida dell’arresto. E dove, soprattutto, dovrà spiegare quei soldi che gli hanno trovato addosso i finanzieri, anche se ha provato a disfarsene gettandoli dal finestrino dell’auto quando ha capito di essere caduto in trappola.
E’ successo ieri a Pomigliano D’Arco, storica città “operaia” della cintura napoletana. Non è il primo caso, non sarà l’ultimo. Un paio d’anni fa proprio qui ci fu un analogo «trauma» di cronaca, con un sindacalista della Cgil che, mentre difendeva gli operai, si faceva dare soldi e Rolex da un imprenditore della nautica concedendo in cambio una sorta di pax sindacale. Pochi mesi dopo in provincia di Salerno, nell’area industriale di Buccino, ben tre rappresentanti di sigle diverse, tra confederali e autonome, finirono dietro le sbarre per lo stesso motivo: noi ti facciamo stare tranquillo anche se non stai pagando lo stipendio da qualche mese, tu ci paghi per il nostro silenzio nei capannoni e tra le rotative. Finì male, come verosimilmente accade in molti angoli del pianeta.
Pure il sindacalista di Pomigliano arrestato ieri in flagranza aveva avvicinato l’imprenditore, un 45enne originario di San Giorgio a Cremano, proponendogli di non pagare le quote in capo ai lavoratori e di spartirsi la cifra che avrebbe dovuto versare. Cinquanta e cinquanta, seimila euro in tutto: tremila all’ex tutore degli interessi dei lavoratori e tremila sarebbero rimaste nel portafogli del titolare dell’azienda. In cambio di cosa? Niente scioperi, nessuna agitazione, calma e serenità sul posto di lavoro.
L’impresa ha vinto un appalto per la gestione dei parcheggi nel 2014 e i quattordici iscritti alla Uil-trasporti non avrebbero piantato grane di nessun tipo: «Diversamente in città sarà il caos per le strade». Dinanzi a questa chiarissima minaccia l’imprenditore decide di vedersela da solo e compra una videocamera che piazza dietro la poltrona della scrivania in ufficio. Poi avverte la Guardia di Finanza che lo “assisterà” nelle consuete fasi di costruzione della cosiddetta pistola fumante, la prova regina in flagranza di reato. E così in effetti è andata.
Il 3 marzo scorso l’imprenditore riceve in ufficio Antonio Esposito: l’uomo si accomoda, i due parlottano, il sindacalista spiega che distruggerà i cedolini delle iscrizioni per le quote dei dipendenti e nessuno si accorgerà di niente. Men che meno alla sede nazionale della Uil, che non potrà rivendicare nulla dal momento che quegli iscritti proprio non risulteranno. C’è una tendina aperta della finestra dell’ufficio, Esposito si preoccupa che qualcuno possa aver visto il passaggio di mano dei soldi, l’imprenditore lo rassicura, si alza e fa scorrere le tende. Tanto è stato tutto ripreso dalle telecamere, il numero di matricola delle banconote poi è stato registrato dai finanzieri. Non manca nulla. Neanche il carcere. Una quota di “pace” l’imprenditore l’avrà ora ottenuta.
(dal quotidiano “Libero” del 2 aprile 2016)