La Chiesa cattolica e l’Europa viste dall’Africa, ovvero le riflessioni di un porporato africano su Chiesa e Occidente agli scorci del XXI secolo. Potrebbe essere questo il titolo dell’incontro- conversazione con il cardinale Robert Sarah che si è tenuto presso la parrocchia di S. Pietro in Camerellis, a Salerno il 2 aprile al termine di una concelebrazione presieduta dallo stesso presule.
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Osservatore privilegiato Sarah e protagonista autorevole elle questioni sollevate nell’incontro sulle tracce della presentazione del suo libro-intervista “Dio o niente. Conversazioni sulla fede”, che non è azzardato accostare al celebre “Rapporto sulla fede”, libro-intervista di Joseph Ratzinger con Vittorio Messori. Nel 1985 le dichiarazioni del prefetto della Dottrina della Fede suscitarono clamore e sorpresa per l’analisi realistica e a tratti impietosa della situazione della chiesa postconciliare, oggi le affermazioni di Sarah sono destinate ad un’eco non dissimile per la loro franchezza. Tanto più che queste ora incidono su un contesto ancor più secolarizzato e che vede la Chiesa cattolica in Occidente in rapporto ancor più problematico con la postmodernità. Nato in Guinea nel 1945 nel villaggio di Ourous, Robert Sarah ha percorso velocemente i gradi della gerarchia cattolica al punto di essere nominato arcivescovo di Conakry, capitale della Guinea, a soli 34 anni ed esserne definito da Giovanni Paolo II “vescovo bambino”, quindi nel 2001 segretario di Propaganda Fide, storico dicastero della S. Sede con competenza sulle missioni, dal 2010 presidente del pontificio consiglio Cor unum per la carità del Papa, dal 2014 prefetto della congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti, che è l’organo centrale per l’applicazione autentica della liturgia e della prassi sacramentale nella Chiesa.
Ed è alla liturgia che Sarah ha dedicato nel libro e nell’incontro salernitano un rilievo affatto speciale. Potrebbe sorprendere da parte di un presule africano l’interesse prioritario da questi riservato alla materia liturgica, ma, in linea con l’affermazione che la liturgia è il luogo privilegiato dell’incontro con Dio, ne deriva il carattere prioritario di questa nella vita della Chiesa. Nel libro ricorre sovente l’insegnamento di Benedetto XVI in materia che, memore della lezione benedettina, invitava a “non anteporre nulla all’opera di Dio”, ovvero alla liturgia, insegnamento che Sarah fa suo anche sulla base dell’esperienza personale vissuta. Per il cardinale africano centrale resta l’esperienza dei Padri Spiritani, la congregazione francese dello Spirito Santo cui si deve l’evangelizzazione della Guinea. A questi missionari il futuro presule deve il germe della fede già trasmessa da due generazioni alla sua famiglia e la testimonianza di vita operosa a servizio di quelle popolazioni con al centro la preghiera e l’officiatura liturgica. Al piccolo Sarah restano impresse nella memoria l’esempio di questi missionari che, lungi dal ridurre la loro presenza a sola azione, la sostanziavano quotidianamente di preghiera. Eloquente esempio anche della capacità delle missioni cattoliche di trasformazione delle realtà locali alla luce della fede, non in un’azione umanitaria che presuppone stadi d’inferiorità anche antropologica delle popolazioni indigene, ma in nome della missione di evangelizzazione affidata alla Chiesa dal suo Fondatore che rende eguali nello stesso credo. E la vicenda anche biografica del porporato ne è prova tangibile.
Robert Sarah riconosce tale merito alla Chiesa cattolica e alla cultura dell’Europa che deriva dal cristianesimo. Sicché non possono che suscitare in lui stupita riprovazione quelle frange dell’intellettualità europea che considera il cristianesimo stesso come fenomeno da superare o da relegare in ambito esclusivamente privato in nome del principio della laicità. E, accanto a questo rilievo, la denuncia di un rinnovato colonialismo, “malthusiano e brutale” da parte dell’Occidente attraverso le sue agenzie internazionali verso l’Africa e l’Asia con l’imposizione di programmi di aiuti condizionati alla promozione della salute riproduttiva e delle teorie gender. La conclusione cui perviene Sarah è radicale con l’affermare la natura immorale e demoniaca di una frode che ha per oggetto la riduzione dell’individuo al suo comportamento sessuale in nome di una pseudo cultura in opposizione alla visione naturale e cristiana dell’uomo.
La lucida analisi del porporato non risparmia del resto neppure settori della Chiesa che in nome di queste sollecitazioni culturali aspirano a mutare, se non la dottrina, almeno la prassi pastorale in nome di un accomodamento allo spirito dei tempi. E Sarah è pur sempre tra i tredici firmatari che al sinodo sulla famiglia dello scorso ottobre hanno indirizzato una lettera a papa Francesco per evidenziare il pericolo di svuotamento della dottrina insito in un approccio pragmatico alla questione. Nell’incontro salernitano il tono è stato ancor più fermo allorché il presule ha affermato la sua incapacità a comprendere la stessa possibilità di sottoporre a voto la questione delle unioni gay in seno all’assemblea sinodale. Il riferimento è al punto 53 delle proposte sinodali, la cui gestazione è stata molto travagliata e il cui impianto è riferibile al segretario speciale del sinodo mons. Bruno Forte, punto che non ha superato i due terzi dei placet richiesti per l’approvazione. Così come la dibattuta questione della comunione ai divorziati risposati, anche questa non approvata direttamente al vaglio del sinodo, respinta da Sarah come forma di tradimento all’insegnamento evangelico e segno di adattamento supino allo spirito dei tempi. Atteggiamento speculare all’impegno caritatevole di alcune conferenze episcopali europee – il cardinale ha citato come esempio quella tedesca, olandese e francese – che concepiscono il loro intervento proprio sotto le forme delle agenzie umanitarie internazionali con la conseguenza della perdita dello specifico missionario a detrimento della fede che è il veicolo necessario per la Chiesa di manifestazione della carità. Un pericolo già denunciato da Benedetto XVI ai vescovi tedeschi quanto invitava a non privilegiare l’organizzazione delle strutture sull’intima natura spirituale della Chiesa.
A sintesi delle posizioni di Robert Sarah si può ricorrere all’affermazione contenuta nel libro per cui “la Chiesa di Africa si opporrà fermamente a ogni ribellione contro l’insegnamento di Gesù e del magistero”. Un’affermazione che può suonare come dichiarazione di guerra, ma che in realtà traduce lo spirito di fedeltà a quanto ricevuto dalla fede dell’Europa da parte di una giovane chiesa che fonda su questo deposito di Verità la sua identità. E Sarah non a caso rivendica al concilio di Cartagine del IV secolo la disciplina del celibato sacerdotale poi accolta a Trento come regola universale quale segno del contributo che l’Africa, un tempo romana, oggi indigena, ha dato e può dare alla costruzione della Chiesa.
Viene in mente, a tale proposito, la celebre parabola della vigna e dei perfidi vignaioli in Matteo 21, nella quale la vigna verrà affittata dal padrone ad altri operai più meritevoli, dopo aver mandato in rovina i primi, “i quali gli restituiscano a suo tempo il frutto”. Un monito questo per le Chiese europee che viene da un nuovo “oriente” cristiano.
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