Il luogo comune è irresistibile, impossibile derogarvi: nella città dove si è fermato Cristo, Eboli, c’è un problema con Allah. Almeno sul piano simbolico. Ne sanno qualcosa i parrocchiani della chiesa di San Nicola in San Vito al Sele, cuore della grande piana a sud di Salerno, che ieri mattina nella grotta dell’Immacolata di Lourdes hanno trovato una sorpresa. La statua della Madonna distrutta, poco più in là stessa sorte per Padre Pio, e l’altra statua sradicata e messa in una posizione –absit iniuria verbis– sospetta: girata, cioè, di 180 gradi verso est, direzione La Mecca.
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Casuale o meno, così hanno trovato Santa Bernadette i carabinieri e così l’ha trovata pure don Daniele Peron, il parroco: l’immagine della giovane è quella tradizionale, inginocchiata, facile che l’abbiano scambiata per una donna in preghiera, non sapendo fosse una santa. Sarebbe finita anche lei come la Madonna dei miracoli che stava adorando, quella che popola l’immaginario cristiano da centinaia di anni. E come un’altra statua della Madonna, devastata poco oltre, nella piazza di Santa Cecilia. E siamo a tre: tutto in una notte, cantando ad alta voce lodi ad Allah un giovane musulmano maghrebino (in precedenza in compagnia di un altro) del tutto fuori controllo, stando al racconto di alcuni testimoni nei bar notturni lì vicino. «E’ arrivato d’improvviso» – dice a Libero uno che ha visto la seconda scena del raid- «era visibilmente alterato, non so se ubriaco, di certo faceva impressione. Ha abbracciato la statua e l’ha tirata giù, inveendo, prendendola a calci e sputi, urlando frasi non sempre comprensibili».
C’è chi tenta di fermarlo, l’uomo sbraita, ripete la parola islam, minaccia: «Tu sei cristiano, stai attento. State tutti attenti». Poi la storia si fa intricata ed intrigante, perché gli stessi testimoni dicono anche che l’immigrato, occhi fuori dalle orbite, blaterava di «droga dei terroristi» (forse il Captagon, usato dagli islamisti per annullare la paura prima di un attentato) e di imminenti tragedie. C’è chi confessa di essersi spaventato, la scena non era quella solita delle notti dei fine settimana, quando risse e violenze non si contano.
I due extracomunitari, nazionalità marocchina entrambi, sono stati identificati e fermati dai carabinieri di Eboli: che li hanno rilasciati con una denuncia per danneggiamento aggravato.
Ma la furia iconoclasta non ha lasciato senza parole don Daniele, veneto nel cognome e nell’accento. Che parlando con Libero, sull’esposizione verso est della statua di Santa Bernadette, si interroga: «Sarà stato un caso? Io questo non lo so, so solo che l’abbiamo trovata così, le altre invece erano in mille pezzi. Non c’era motivo di limitarsi a girarla senza farle fare la stessa fine». Lui i musulmani li conosce bene, la Piana del Sele trabocca, ci sono pezzi di territorio (come la marina tra Campolongo e Lago) completamente islamizzati, nel senso che esiste solo un certo tipo di attività commerciale, macellerie halal, caffè, ritrovi e rivendite varie in un dedalo di vicoli, tra baracche e degrado, pullulati da famiglie di extracomunitari. Con buoni e cattivi, ovviamente. Il “Selestan”, come l’ha chiamato qualcuno. Una storia che viene da lontano.
Con qualche precedente significativo: già tra il 2000 e il 2001 l’allora capitano dei carabinieri Antonello Angeli individuò alcuni esponenti del Fis algerino in transito nell’area di Eboli, proprio nella stessa zona del raid dell’altra notte. Fu prima dell’11 settembre. Poco dopo, sempre ad Eboli, uno dei primi casi di sharia in Italia, con un giovane marocchino cui furono amputate alcune dita di una mano a seguito di uno sgarro. Anche Libero ne scrisse, più di dieci anni fa.
Don Daniele è un prete vero, porta le statue in processione, uno che veste da prete, niente jeans o maglioni arcobaleno: con i musulmani -dice- non ci sono problemi.
«C’è la Caritas qui, c’è il Banco Alimentare, diamo una mano a tutti». Questa storia è un po’ diversa però. «Vero», aggiunge il don. Che conclude: «Ora temo il clima incandescente che ne discenderà». E questo nessuno può escluderlo.
(dal quotidiano “Libero” del 13 marzo 2016)