SALERNO- I ragazzi dell’ Erasmus saluteranno la città di Salerno, ove hanno trascorso un periodo d’intenso studio e crescita, offrendo un concerto sabato 28 febbraio, nella chiesa di Santa Apollonia, alle ore 19.
Studio Apollonia e la Bottega San Lazzaro sono onorati di poter presentare, ancora una volta, il dialogo musicale di questi musicisti che hanno scelto il Conservatorio “G.Martucci” di Salerno per aprirsi a nuove esperienze, metodi di studio, tradizioni musicali italiane.
La serata organizzata dal Dipartimento di Musica d’insieme e dall’Ufficio Relazioni internazionali della massima istituzione musicale cittadina, verrà inaugurata da un’opera di raro ascolto, proposta da Michaela Forgàcovà al flauto, Katarìna Stasovà (nella foto) al violino e Francesco Saggiomo al pianoforte, i Cinq petite duos op. 56 composti da Cesar Cui, nel 1897, “Un miniaturista, un lirico, con un non so che di smanceroso ed effeminato, elegante e gracile, a volte spiritoso – scrive M.R. Hofmann – a volte sorridente: tutto il suo stile è ben francese e d’una eleganza un po’ facile, quale non si ritrova in nessuno dei suoi contemporanei russi”.
La formazione ci farà ritrovare in un salotto a chiacchierare piacevolmente, senza approfondire, attraverso queste melodie che hanno il dono di levità e tenerezza. Saremo ancora nell’ambito della Salon music con il soprano Maria Infranzi, la violinista Katarìna Stasovà e il pianista Francesco Saggiomo, i quali eseguiranno “Le bonheur est chose légère” di Camille Saint Saens, un’aria tratta dell’operina “Le timbre d’Argent”, datata 1877, dalla linea vocale morbida e fresca, che racconta della natura fugace della felicità.
Si continuerà con l’esecuzione dei primi due tempi del Quintetto in si minore op.115, composto da Johannes Brahms nell’estate del 1891 interpretato dal clarinettista Massimo Buonocore unitamente a Gizem Basak Tatlici e Mario Palermo al violino, Giuseppe Giugliano alla viola e Thomas Brian Rizzo al violoncello. In quell’ anno il musicista conobbe a Meiningen il celebre clarinettista Richard von Mühlfeld, il quale lo invitò a scrivere un pezzo per lui, ed ecco nascere quest’opera segnata da quel senso di struggente malinconia e di intima delicatezza spirituale, che è l’essenza dell’ancia. L’Allegro d’apertura è carico di penetrante emozione psicologica, che dovrà essere resa più incisiva e persuasiva dal timbro dolcissimo del clarinetto, uno strumento molto amato dal musicista. Il secondo tema ha uno spessore armonico più denso, pur tra pause di accorata tristezza. Nell’Adagio in si maggiore il clarinetto ha un tono trasognato, quasi schumanniano, ed è sorretto dagli archi in sordina.
La chiusura della serata è stata affidata al Quintetto in Mi Bemolle op.16 di Ludwig van Beethoven con Laura Cozzolino al pianoforte, Patrìcia Kusanovà all’oboe, Fabrizio Fornataro al clarinetto, Stefano Cardiello al corno e Gaetano Varriale al fagotto. Opera fra le meno eseguite, certo a causa dell’organico, è una pagina che si ascrive sicuramente fra le più riuscite della prima maniera beethoveniana. Composto fra il 1796 e ’98, eseguito per la prima volta in Vienna il 6 aprile 1797, in una serata a casa Schuppanzigh, il lavoro, dedicato al principe Schwarzenberg, tenta una replica, in chiave di ossequio, al mirabile Quintetto, nella stessa tonalità, K.452, che segna un punto vertiginoso nella parabola mozartiana. Le assonanze con la musica di Mozart vi sono assai numerose ed evidenti, al punto che taluni studiosi asseriscono trattarsi di un vero e proprio omaggio di Beethoven a quest’ultimo. Infatti, i fondamentali motivi tematici dei tre movimenti principali del Quintetto (il Grave si configura come una Introduzione) riportano a tre Arie di Mozart: il tema dell’Allegro riecheggia la prima Aria del Flauto magico; il tema dell’Andante ricorda l’Aria di Zerlina nel Don Giovanni; il tema del Rondò presenta chiare analogie con la Aria di Papageno. Il Quintetto non possiede soltanto reminiscenze tematiche delle musiche di Mozart, ma si muove tutt’intero in un clima di serenità, di felice abbandono e di grazia che si può ben qualificare come «mozartiano». Il Buenzod, volendo confutare l’immagine convenzionale di un Beethoven sempre corrusco e drammatico, cita appunto questo Quintetto: “Quando nell’Andante ricompare il motivo iniziale che sembra evocare il riposo di una divinità, come non pensare che, nel momento in cui concepiva tale frase, Beethoven avesse conosciuto uno stato d’animo prossimo alla beatitudine?”.
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