ARCHIVIOTuristi ciao: i sindacati (ri)chiudono Pompei

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C’è un patrimonio mondiale dell’umanità che «pesa» più del sigillo Unesco: è lo sciopero dei dipendenti degli scavi di Pompei, una certezza. Quest’anno siamo già alla terza agitazione del personale. A febbraio ci fu un primo stop con relativo blocco delle relazioni con il datore di lavoro, la Soprintendenza; a giugno, quando il flusso turistico inizia ad intensificarsi, un altro duro faccia a faccia tra dipendenti e apparato burocratico. Per il futuro nessuna garanzia, passano i ministri e ti trovi i Franceschini. Uno scenario che fotografa l’eterno costume italico: si traccheggia e nessuno risolve il problema.  

 

Esattamente come nessun altro riesce a spiegarsi come mai un posto che attira milioni di persone ogni anno sia ancora stritolato da due tra i fattori più tossici della funzione pubblica: l’ingessatura burocratica e la deterrenza sindacale. Veleno allo stato puro. Come la situazione conferma.  

Ora, tra altre, è lite sulla vigilanza degli scavi, sembra che alle rappresentanze sindacali unitarie dei lavoratori non sia andata giù la scelta della Soprintendenza di affidarne il servizio ad un’agenzia esterna. Si legge infatti in una nota delle Rsu pompeiane, ripresa dall’edizione web del Sole24Ore, che tra le questioni che hanno riacceso i toni del confronto ci sarebbero le «iniziative, unilaterali e inefficienti, adottate dall’amministrazione in merito alla razionalizzazione delle risorse umane addette alla vigilanza e le nuove linee guida per la riorganizzazione del servizio di vigilanza». Insomma, non vanno bene le ipotesi di riorganizzazione del lavoro nel sito e le scelte fatte per garantire una vigilanza che non sempre si è distinta per efficienza tra furti, danneggiamenti e deturpamenti vari dei reperti. Venerdì scorso la proclamazione formale dello stato di agitazione: tra ieri e domani (5-7 novembre) assemblee dei lavoratori a getto continuo, anche se comporteranno disagi per i visitatori.

Insomma, siamo punto e a capo, con un’aggravante speciale: dopodomani, sabato, arriverà una delegazione dell’Unesco, organizzazione internazionale di tutela e valorizzazione di siti e beni artistici, in pratica il massimo dei “marchi di qualità” dell’industria turistica e culturale. Ma a Pompei questi sono dettagli, c’è un ceto di circa 140 addetti alla vigilanza dall’età media di 56 anni da governare: circostanza che se non spiega proprio tutto fornisce sicuramente un quadro chiaro del contesto. Vaglielo a spiegare al giapponese, coreano, russo o statunitense che se è costretto a fare lunghe code alle biglietterie in funzione (non troppe) è perché non ci si riesce a mettere d’accordo neppure sui turni di lavoro e su chi deve vigilare su cosa, se debba farlo uno che viene già pagato per questo oppure qualcun altro che costerebbe meno e magari è più efficiente. Sembra che le sigle sindacali di base promotrici dell’agitazione (Flp e Unsa) abbiano dedicato alla questione dell’istituto privato di vigilanza un’assemblea ad hoc per il prossimo 19 novembre: dev’essere un tema fondamentale.

Va precisato che la proposta della privatizzazione sarebbe partita direttamente dal ministro per i Beni culturali, che un primo riscontro sembra l’abbia già ottenuto. Ma è tutto in evoluzione, certe questioni sono dinamiche e nelle prossime ore si traccerà un primo bilancio. Per ovviare ai problemi sul tappeto, il sito archeologico tra i più importanti al mondo mette sul piatto tutta la forza strategica del suo pachiderma. La Soprintendeza, infatti, propone per questi lavoratori corsi di formazione, anche le risorse non mancherebbero considerando pure la dote dei 105 milioni del “Grande progetto” da spendere tassativamente entro fine 2015. Assemblee permettendo.

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 6 novembre 2014)

Redazione Eolopress

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