ARCHIVIONovaetveteraSan Matteo tra dirigismo, consuetudine e ammutinamento nel “regno delle fate”

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Salerno San Matteo caos paranze Moretti

I fatti che hanno segnato a Salerno la processione di S. Matteo 2014 con “la ribellione” delle paranze dei portatori (foto da www.gazzettadisalerno.it”) alle direttive imposte dalla Curia in esecuzione del documento della Conferenza episcopale campana “Evangelizzare la pietà popolare”, a caldo sollecitano alcune riflessioni. 

 

Già in questa sede si è messo in rilievo come il documento dei Vescovi campani del febbraio 2013 confliggesse con la nozione di pietà popolare al centro delle considerazioni di papa Francesco nella sua Evangelii gaudium. Nell’esortazione post-sinodale Bergoglio esalta la pietà popolare con cui “il popolo evangelizza continuamente se stesso”, all’opposto i Vescovi campani ritengono di doverla evangelizzare, depurandola da superstizione e folklore. E a Salerno non sono mancati abusi negli ultimi anni, tra politica e folklore, tali da allontanare la processione dalla sua autentica e sana tradizione popolare. 

Singolarmente, entrambe le conclusioni, pur nella loro antinomia, attingono ad un documento di Paolo VI del 1975, Evangelii nuntiandi, definito da Bergoglio “il capolavoro di Montini”, in cui il tema dell’evangelizzazione affronta la questione della pietà popolare alla luce del Vaticano II.

Quello che si è verificato a Salerno per la processione di S. Matteo può essere considerato il banco di prova di ciò che oggi residua della pietà popolare nell’Occidente secolarizzato.

Si è già detto in questa sede che la lettura di Bergoglio attinge all’esperienza sud-americana difficilmente esportabile oltre il contesto di riferimento. La pietà popolare occidentale, nella migliore delle ipotesi, è ridotta a folklore e prova ne è l’atteggiamento assunto dalle paranze salernitane dei portatori delle statue. Infatti, se oggetto del contendere è stata l’abolizione di “danze e giravolte” e delle stationes all’interno di edifici istituzionali, quali la Tenenza della Guardia di Finanza e il Municipio, veramente si stenta a comprendere l’ostilità manifestata all’arcivescovo Moretti che, tra l’altro, di Matteo, in quanto Apostolo, è anche successore nella linea di trasmissione apostolica.
Inoltre, le ingiurie proferite alla sua persona da un pubblico, che non può certo annoverarsi tra i fedeli cattolici, tanto più mentre il presule recava – novità assoluta per la processione – il reliquiario con il braccio del santo, rappresentano un vero e proprio sacrilegio.

Di fatto le stationes non erano state abolite, piuttosto erano state disciplinate in spazi pubblici con momenti di preghiera tematica, per gli ammalati a piazza Portanova, per i pubblici amministratori innanzi al Comune, per gli operatori del mare a piazza Cavour, per i giovani all’incrocio del Corso Vittorio Emanuele, per le forze di polizia davanti alla Tenenza della Guardia di Finanza. Ad ogni fermata era stata prevista le benedizione con la reliquia dell’Evangelista, in genere accolta dai presenti come invito alla fotoriproduzione.
Si potrà replicare che anche questa è una predisposizione che risente di quella propensione alla “settorializzazione” della preghiera in linea con quanto dalla riforma liturgica in poi si è affermato nella Chiesa in opposizione a tradizioni consolidate. Messe per bambini, per adulti, per ammalati hanno costellato il panorama liturgico della Chiesa con la perdita proprio di quella cifra di universalità che è invece della Cattolica.

Tuttavia, altro argomento sarebbe stato quello della consuetudine per come disciplinata dal Codice di Diritto Canonico, che le assegna la funzione di vera fonte di diritto anche in opposizioni a leggi positive che tendano a limitarla. La consuetudine, correttamente intesa, poteva rappresentare materia di confronto tra le diverse istanze, scongiurando così tentazioni tanto di dirigismo quanto di ammutinamento. Bisogna pur dire che il diritto canonico è il vero fantasma in quel “regno delle fate”, per usare una bella immagine di Hobbes, che è la legislazione ecclesiastica, stretto com’è tra ignoranza e presupposizione.

In ogni caso, centrale resta l’invito formulato ai Salernitani da Moretti sin dal suo “primo S. Matteo” nel 2010: riscoprire la devozione al santo con la riscoperta del suo “aureo Vangelo”. Quando, al capitolo IX, l’Evangelista ripercorre l’episodio della sua stessa conversione, obbedendo al Sequere del Maestro, di fronte alle obiezioni degli astanti per il fatto che questi pranzasse con pubblicani e peccatori, Gesù replica dicendo che i “malati hanno bisogno del medico” e li invita a comprendere cosa significhi il versetto “misericordia voglio e non sacrificio”.

La misericordia, per come intesa da Matteo e in generale nel Nuovo Testamento, non è un perdonismo a buon mercato, bensì la capacità di riconoscersi “malati” e dunque bisognosi di perdono. E’ lo stesso concetto che ripete nel V capitolo, quello famoso delle Beatitudini, quando dichiara beati i “poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli”. Povero di spirito è chi mette da parte l’orgoglio, riconoscendo la sua malattia e richiedendone il perdono. Non così quanti a Salerno, dietro lo schermo di una pretesa devozione all’Apostolo ed Evangelista Matteo, hanno negato tutti i fondamenti dell’insegnamento del patrono che un giorno, dalle parti di Cafarnao, abbandonò ogni orgoglio per seguire solo il suo Maestro e consegnarne alle generazioni a venire il Verbo. 

Nicola Russomando

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Nicola Russomando

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