ARCHIVIOCetto e le toghe: insulti tra magistrati per il prezzo del «pilu»

admin18/06/2014
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Qualunquemente

Nell’Anm sta finendo a “pilu” in faccia. Ma non in quel senso: non c’è nessuna signorina conturbante all’origine dei tumulti, manco uno straccio di baldacchino putiniano a sporcarne le gesta, né giovani e procaci levantine da contendersi, neppure un politicamente correttissimo fedifrago omosex a sfasciar famiglie, per quanto sin qui di fatto.

 

Parliamo invece di un altro “pilu”, perché chi agita il sonno dei dirigenti dell’Associazione nazionale magistrati è Albanese, nel senso di Antonio, il noto comico interprete di quel Cetto La Qualunque (foto) che incarna il peggio degli stereotipi sul politico italiano. Del Mezzogiorno, va da sé, dove tutto si presta alla messinscena. Per sentirlo on stage i dirigenti dell’Anm pare non abbiano badato a spese. Corrotto e corruttore, assassino dell’ambiente e del merito, immorale, xenofobo, razzista, puttaniere, ovviamente omofobo, molto mafioso -ramo Calabria– e per ciò abituato a sistemare i membri della propria famiglia: tutto incorniciato dal mitico Cchiù pilu p’ tutti, slogan elettorale e promessa di un imminente Eden sessuale se soltanto lo si sceglierà nell’urna. Le spese, si diceva: 50mila euro, tanto avrebbero sborsato per un suo recital al teatro Capitol di Roma in occasione dell’ultimo congresso dell’ottobre 2013, la cui organizzazione non si sarebbe limitata a costare mezzo milione di euro, mandando così in rosso i conti per poco meno di 250mila euro, come ha già scritto Franco Bechis.

E’ costata molto di più, cioè una pioggia di accuse che se si fosse trattato di ambienti estranei alla magistratura, ci troveremmo forse a scrivere di un’indagine aperta e di un elenco di indagati. Nel nostro caso, tutto fila sottotraccia, anche se la sostanza della querelle è sovrapponibile al problema dei problemi: l’utilizzo allegro e interessato del danaro. Quello altrui, ovvio. Nel caso dell’Anm, va precisato, sono soldi degli associati e non v’è traccia di fondi pubblici, almeno nell’ultimo bilancio approvato il 7 giugno scorso.

Ma questa storia ha acceso gli animi di alcuni dirigenti nazionali. Nei circuiti “criptati” di giudici e pm e sulle loro autostrade telematiche, la battaglia è già campale. Le famose mailing list sono una miniera di notizie. Circolano infatti carteggi virtuali dove se le suonano di santa ragione quasi fossero a Monte Citorio o Palazzo Madama. Il casus belli è stato proprio il bilancio 2013.

Scrive un membro del Comitato direttivo centrale: «Pensate che abbiamo pagato oltre 50mila euro per il cachet del bravissimo Antonio Albanese e per l’affitto del teatro Capitol». E fin qui il problema c’è e non c’è, ognuno è libero di spendere il proprio danaro -ove fosse confermata la cifra- come meglio crede. Le cose iniziano a complicarsi quando il dirigente alza il tiro: «A ripensarci bene, doveva essere lui a pagare l’Anm per la grande ispirazione che ha ricevuto il suo spassosissimo personaggio Cetto». A cosa allude? Non intenderà mica dire che l’Anm è un poltronificio infettato da familismo amorale, dove prevale la mentalità clanica, una rampa di lancio per future carriere altrimenti insperabili, magari al Csm con tutto ciò che ne consegue quanto a potere politico, ristoro economico e prestigio? Sembrerebbe esser andata così, a giudicare dai retroscena emergenti dalle pieghe di un’eterna, per quanto umana, lotta intestina oggi sbarcata on line. Nulla di strano, sono uomini anche loro.

Il componente del Cdc allunga: «L’Anm maestra di Cetto: chissà che non possa diventare il titolo di un prossimo congresso nazionale con il sottotitolo “Tu mi voti? E io ti sistemo a tìa e a tutta a famigghia”. E se non mi voti? Cetto saprebbe rispondere adeguatamente, soprattutto dopo il congresso del 2013».

Infine, la punta sarcastica in equilibrio sull’acronimo dell’associazione, quasi si trattasse di uno show dell’adorato Travaglio: «Evviva l’Associazione Nazionale Milionari». Milionari? Ma che dicono questi magistrati e come mai la buttano giù così pesante?

Tutto nasce dalle spese per il 31esimo congresso nazionale del 24 e 27 ottobre scorsi. Nel conto economico 2013 dell’Anm, al numero “Componenti negativi di reddito” si nota una voce dissonante rispetto agli «zeri» delle altre. “XXXI Convegno (volevano forse scrivere Congresso, ndr) 24/27-10-2013: 454.086,04 euro”. Per gli accusatori, soldi sprecati, gestiti allegramente: per gli accusati una somma da spalmare su tre annualità, nessun buco nei conti. Replica un alto papavero dell’Anm: «C’è solo da attendere le tue scuse per il concetto che hai dei magistrati cui pure appartieni». Controreplica del dirigente che capeggia la cordata ribelle: «Facevo ironia. Devi scusarti tu invece per come gestisci le nomine, a favore di chi e per cosa e come mai fai partecipare gli estranei alle riunioni» ha, in sintesi, sparato tra un dialetto siculo-calabrese e un’ottima sintassi italiana.

Tutti “rinviati a giudizio” ora, nel senso che solo il processo -in senso figurato- che ne discenderà farà chiarezza. E chissà quale verità sarà prediletta, la storica o la processuale?

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 18 giugno 2014)

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