Quanto tempo serve per capire che un tizio è alto un metro e 94 e non 1 e 70? Normalmente pochi secondi, in condizioni “anormali” anche 4 anni. Tanti ne sono serviti a due procure per chiudere una vicenda che se non avesse del comico si consumerebbe nell’unicità di una tragedia nazionale. Ricordate la “icona dell’antimafia” (copyright Antonio Ingroia) Massimo Ciancimino (a sinistra nella foto) figlio dell’ex sindaco di Palermo, il mitico don Vito, che ci informò- tra l’altro- d’esser stato minacciato da un signore che gli intimò di smettere con la storia del papello, Dell’Utri, Berlusconi, etc?
I fatti sarebbero accaduti a Palermo e Bologna, di qui l’apertura di due fascicoli per competenza, con iscrizione di indagati per minacce aggravate dalla finalità mafiosa ed altro. Tutto partorito dal ventre convulso della trattativa stato-mafia, di cui questa storia è surreale germinazione.
«Alto 1,70-1,75, 45/50 anni, capelli scuri brizzolati, fazzoletto bianco nel taschino, giacca coloniale, senza cravatta, con mocassini ai piedi» -dice Ciancimino jr nella denuncia presentata alla questura emiliana- «era il 3 luglio 2009, verso le 15,30 mentre, accompagnato dalla tutela (scorta, ndr) stavo andando a Riccione. L’ho riconosciuto perché è lo stesso che nel 2006, mentre ero ai domiciliari a Palermo, venne a farmi visita con due carabinieri che lo chiamavano “Capitano”».
Tra una comparsata ad Annozero, un giro in barca con Ruotolo (a destra nella foto) articolesse di Travaglio, titoli a raffica di Repubblica, convegni e dibattiti, aggiungeva che questo spaventoso emissario ebbe a dirgli: «Si ricorda di me? Da oggi non è più protetto», passando poi al tu: «Sei una testa di cazzo, pensa a tua moglie e tuo figlio» prima di sparire giù per le scale. Ma c’è un antefatto, forse più esilarante dell’epilogo. Ciancimino presenta questa denuncia e fa scattare le contromisure nelle due procure (con un’abissale differenza di gestione) con l’apertura di fascicoli ad hoc, inguaiando ancor di più il generale Mori, il maggiore Antonello Angeli, l’ex capocentro del Sisde Narracci, lo stesso Provenzano e Rosario Piraino, l’agente Aisi riconosciuto in foto come l’autore delle minacce. Ma l’icona dell’antimafia aveva già denunciato strane visite notturne sotto casa che «gettarono nel panico me e mia moglie, accorsi insieme al citofono». Sfortuna volle che Ciancimino fosse a Bologna e non in Sicilia: infatti, a sua insaputa, la magistratura aveva piazzato telecamere che avevano registrato tutto, tranne ciò che denunciava. Messo al corrente, Ciancimino sbiancò e -si legge in atti- «commosso (piangendo, ndr) aggiunge “Dottore, mi sono venuti a trovare”» alludendo alle minacce successive. Peccato che pure queste fossero inventate perché lo 007, grazie alla pervicacia dei suoi avvocati, Nino Caleca e Marcello Montalbano, riesce a venire a capo del guaio. Non foss’altro perché è alto 1,94 e pesa 110 kg, ha i capelli e gli occhi chiari, a Bologna non andava da 15 anni e il suo cellulare non ha mai agganciato quelle celle. Era una patacca, l’ennesima.
A Bologna chiudono la pratica archiviando, a Palermo il tempo passa. Finché i due legali non chiedono l’avocazione dell’indagine per inerzia. Respinta dal Pg perché -sarà stato un caso- i pm Di Matteo e Teresi avevano già chiesto l’archiviazione per Piraino (e gli altri) poco prima per «infondatezza della notizia di reato».
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 28 maggio 2014)