L’esordio è stato brillante, il tema lo appassionava e l’argomento lo padroneggiava: la Donna e la criminalità, vittima e protagonista, del resto, è materia complessa, insidiosa, che un consigliere di Corte di Cassazione può leggere con occhi diversi rispetto al sociologismo che tutto ingloba e (mal)digerisce. Ma non è questo il punto interessante di un convegno organizzato da Rotary e Inner Wheel (nella foto il manifesto del convegno) sabato pomeriggio a Sorrento.
Claudio D’Isa, magistrato componente della «mitica» sezione feriale che ha scardinato il sistema Italia con la condanna del leader del centrodestra Silvio Berlusconi per frode fiscale, ieri c’era al Municipio di Sorrento. Non era solo: c’era anche il procuratore capo della Direzione nazionale antimafia, Franco Roberti, il sindaco Giuseppe Cuomo, il presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Torre Annunziata, gli altri organizzatori. Tra cui la professoressa Giuliana D’Isa Colantonio, moglie del magistrato e presidentessa dell’Inner Wheel sorrentino. In sala Renato D’Isa, avvocato e figlio del magistrato: mancava Dario, l’altro figlio, pur egli avvocato, del quale ci siamo occupati a causa di certe turbolenze giudiziarie personali che lambivano-almeno apparentemente- il padre.
Non è l’opinione del giudice sul protagonismo femminile nell’universo criminale ad interessare, almeno non ora: interessa invece che l’uomo abbia affrontato il pubblico in piena polemica, azionata da uno scoop di Libero, su alcune sue stravaganti frequentazioni con una famiglia laziale (i Terenzio) con un curriculum giudiziario non esattamente adamantino. Mafia e camorra comprese. E non da oggi. Ecco perché incuriosiva la presenza di Roberti che della lotta alla mafia sarebbe perno pubblico centrale in quanto capo della Dna. Ci saranno state delle ragioni superiori.
Il convegno, va aggiunto, è stato disertato dai media quasi ci fosse il terrore di dover chiedere conto di ciò di cui si parla da giorni in tutta la costa sorrentina (Libero magari non lo leggerà nessuno -il che non è vero- ma neppure il Fatto visto che è stato l’unico giornale a seguire la storia?): la bizzarra condizione di un altro tra i cinque magistrati che hanno cambiato la storia del Paese. Mica bruscolini.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 25 maggio 2014)