Domenica scorsa, 11 maggio 2014, il sindaco di Eboli Martino Melchionda (foto a sinistra) ha rilasciato alcune dichiarazioni al collega Eugenio Verdini in relazione alla vexata quaestio del centro medico “Ises”. La storia è nota. Ora, alla luce del fatto che sembra quasi che i guai della struttura siano riconducibili a questo giornale -teniamoci sull’impersonale- al punto da far circolare l’idea che quando il centro sarà chiuso il responsabile di tutto avrà pronti un nome ed una faccia su cui sfogarsi va fatto un piccolo controcanto alle cose dette dal primo cittadino ebolitano.
Va ricordato che ad aprire la vertenza Ises prima di tutti e a sancire ufficialmente la carenza di requisiti per l’esercizio dell’attività, è stato proprio Melchionda: che lo ha messo nero su bianco più volte, finanche in riunioni in prefettura, per non dire dell’avvio del procedimento di chiusura del centro da parte del comune. Procedimento lasciato pure appeso e senza esito come impone la legge, fatto che va a sommarsi alla montagna di omissioni e responsabilità accumulate nel tempo. Non solo dal sindaco, va da sé.
Dopo la solita lagnanza sull’aggressione mediatica (le notizie sono «aggressione mediatica»? O sono vere o sono false, tertium non datur: in ognuno dei casi, ce ne si assume la responsabilità) ha dichiarato di «aver chiesto a Squillante (foto a destra) di far luce». Si riferiva anche alle violenze, documentate fotograficamente, in danno di alcuni pazienti (inutile dire che si cerca di far passare l’idea che si tratti di fotomontaggi, ma per queste cose basta una banalissima perizia) su cui Squillante, il direttore generale dell’Asl, dovrebbe pronunciarsi. Il manager non farà luce su un bel niente: l’unica cosa che può fare è revocare immediatamente la convenzione con l’Ises (ove mai ancora esistesse) non per le presunte violenze, su cui sta indagando la procura di Salerno dopo anni di distrazioni, quanto per il resto delle cose che in quel centro non vanno e che ormai conoscono anche le pietre. Pure per il manager vale il principio che vale per il sindaco di Eboli e per le altre autorità di vigilanza e controllo, nessuna esclusa: ad ogni ora che passa senza agire, la clessidra aggiunge un granello di sabbia alla sfera delle responsabilità individuali. In genere son guai. Si vedrà.
Dice ancora il sindaco: «Credo anche che se disfunzioni ci siano è giusto che vengano fuori». Bene, il primo cittadino sa perfettamente cosa va e cosa non va in quel posto. O dobbiamo metterci a ripetere per l’ennesima volta che è stato amministratore della struttura per anni?
Poi aggiunge: «Quando ci è stato chiesto di applicare ad una struttura autorizzata decenni fa normative recenti, ho avvertito che ci potessero essere dubbi di carattere giuridico». Questa è davvero bella. Non esiste alcuna normativa che esonera dal possesso dei requisiti. Quasi tutte le strutture sanitarie che erano attive all’epoca della pubblicazione delle norme che ne disciplinano il funzionamento (2001), avevano un’età anagrafica consistente come quella dell’Ises. Tutti si sono adeguati, investendo danaro ed energie. Tutti tranne l’Ises a quanto pare, oltre ad altri che, infatti, alla fine sono stati sigillati dalle autorità.
In particolare la certificazione dell’agibilità dello stabile (cioè la garanzia che non ti crolli in testa il palazzo) è un requisito senza il quale è inutile perder tempo a parlare: se ce l’hai bene, se non ce l’hai chiudi, come vale per tutti gli altri e non solo in questo settore. Punto. E’ possibile immaginare di esercitare attività sanitarie all’interno di un bar? Di una salumeria? O, come nel caso dell’Ises, in un palazzo destinato ad abitazioni civili? Di che «dubbi» parla il sindaco di Eboli? Il fatto che, ad esempio, per questa cosa sia già sotto processo, non cambia nulla o immagina che i lettori siano tutti rincretiniti?
E ancora: «Allora ho investito Asl e Regione della questione, limitandomi a salvaguardare i tanti utenti e centinaia di operatori e fornitori che gravitano intorno alla struttura ebolitana». Il destino di queste persone, purtroppo, è già segnato da tempo e non perché al mondo esistano i giornalisti ma perché se una macchina va a sbattere un minimo di responsabilità del conducente ci sarà pure. Sembra poi che il sindaco sia in attesa di una risposta da istituzioni superiori, ma le cose stanno in modo diverso perché -come già accennato- il problema della carenza di requisiti è stato sollevato dallo stesso comune di Eboli, che ha avviato la procedura di sospensione delle attività del centro. E poi, da salvaguardare ci sono in primo luogo i degenti che non sembrano alloggiati in un 5 stelle nonostante la Regione paghi per ognuno di loro circa 200 euro al giorno. Al riguardo il sindaco dice: «Ho appreso di presunti maltrattamenti, una situazione che, se confermata, sarebbe intollerabile. Per questo l’altro giorno ho scritto al direttore generale della Asl, a cui ho chiesto informazioni dettagliate, nella mia funzione di massima autorità sanitaria sul territorio». Qualcosa non torna in questa dichiarazione, forse più di qualcosa: invece di chiamare i carabinieri chiama Squillante? Per far cosa? Il manager sa tutto da tempo, sta solo cercando di trovare una quadra impossibile da trovare, ma prima o poi dovrà gettare la spugna anche lui in quanto ogni sogno eventualmente coltivato è destinato ad infrangersi: sia che la «quota» dell’Ises la si riesca a portarla altrove (si vedano alcuni cambi di amministrazione recenti e la geografia in Campania dei gruppi di pressione e società ad hoc) e sempre che si faccia in tempo vista l’aria pesante che tira nell’Asl e ovunque al riguardo.
Il sindaco si dichiara, giustamente, massima autorità sanitaria sul territorio: ed è vero. Ma una volta venuto a conoscenza dei presunti maltrattamenti cosa fa? Interviene? Fa una verifica? Ordina ispezioni? No. Scrive al direttore generale.
Morale: se Melchionda avesse realmente voluto (e così chi l’ha amministrato per tanto tempo, preti compresi) risolvere un guaio fattosi già scandalo storico, avrebbe potuto offrire una qualsiasi struttura comunale e favorire l’insediamento di pazienti e lavoratori. Eppure la legge obbligava tutti a mettersi in regola, senza esclusione: cosa ha impedito in tutti questi anni una delocalizzazione vera che salvasse quei poveracci reclusi dietro finestre con inferriate e i lavoratori, oggi continuamente depistati dal vero problema?
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Cronache del Salernitano” del 14 maggio 2014)