Se quella banca non avesse fatto sottoscrivere quei «derivati» a quella società sua cliente, questa non sarebbe fallita e la storia sarebbe andata diversamente: pertanto, tu banca, rimborsa i due milioni che avevi incassato vendendole un prodotto finanziario «tossico». E’ la sintesi del ragionamento compreso in una sentenza emessa da un tribunale italiano, una di quelle che faranno discutere: oltre che fungere, con ogni probabilità, da apripista per analoghe situazioni.
Stiamo parlando della condanna inflitta dalla I Sezione civile del tribunale di Salerno all’Unicredit, (precisamente all’Unicredit Corporate Banking spa) che ha accolto la tesi dei difensori della Eurobox di Nocera Inferiore, società specializzata in imballaggi metallici, fallita in conseguenza di quella spericolata manovra che doveva servire, tra l’altro, a garantire le linee di credito dell’azienda stessa. I giudici, in buona sostanza, hanno sposato la tesi degli avvocati Fauceglia e De Crescenzo, secondo i quali ogni contratto di questo genere è viziato da nullità sin dall’origine perché non rispondente alle reali esigenze di copertura dell’azienda oltre ad essere ad alto rischio.
La Eurobx spa tra il 2000 e il 2004 aveva accettato di sottoscrivere ben 28 titoli derivati proposti dai promotori finanziari della banca: l’operazione presentava margini di rischio alti ma soprattutto consentiva all’Unicredit una marginalità elevata che, col tempo, avrebbe scavato il baratro nei conti dell’impresa coinvolta. La perizia esibita durante la complessa vertenza giudiziaria dalla società danneggiata (che è stata redatta dal presidente dell’associazione nazionale dei consulenti tecnici, il dottor Roberto Marcelli) racconta di operazioni poste in essere dalla banca che non rispondevano ad alcuna esigenza imprenditoriale né offrivano copertura dai rischi di cambio e di tasso. Nel testo si legge: «La probabilità che la società conseguisse un beneficio era spesso pari all’evento che una moneta lanciata in aria ricada di taglio senza dare né testa né croce». Parole chiarissime che rendono perfettamente l’idea.
Il calcolo per il danno patito dall’impresa di Nocera ammonta a circa 2,3 milioni tra perdite e maggiori interessi pagati sui conti correnti in meno di tre anni, oltre a 650mila euro per interessi anatocistici addebitati. I giudici hanno sposato la tesi su tutta la linea, scrivendo in sentenza che se quelle risorse fossero rimaste nelle disponibilità della società, questa avrebbe evitato il tracollo e la conseguente bancarotta sancita con revoca del concordato preventivo, proposta da cui discende normalmente il fallimento.
L’Unicredit ora dovrà restituire alla famiglia Mignano, titolare dell’Eurobox (che ha in corso un alto procedimento per induzione all’insolvenza) 1,985mila euro a titolo di risarcimento. Per ora.
Peppe Rinaldi
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