I circa sessatamila detenuti italiani, stipati uno sull’altro a mo’ di formicaio, hanno cinquantuno «problemi» in più: si tratta solo di capire in testa a chi cadranno. Cinquantuno, tanti quanti sono i carcerati di Lametia trasferiti d’improvviso (foto) dal «San Francesco», ex complesso conventuale del ‘400 trasformato in carcere quattro secoli dopo, con destinazioni varie a seconda delle capacità ricettive di altre strutture della Calabria. Tutto fatto segretamente, senza che se ne desse notizia ufficiale: la materia, del resto, si presta e determinate notizie è normale che circolino sotto traccia.
Eppure il giorno prima lo «stato» aveva riaffermato la sua presenza sul territorio inaugurando il Centro per l’impiego dentro la casa circondariale: la classica mano destra che non sa ciò che fa la sinistra, per non dire del fatto che, essendo la convenzione annuale, neppure si sa se il prossimo anno le Province esisteranno ancora. La direttrice del «San Francesco», Maria Cristina Mendicino, 24 ore prima che i cellulari della polizia penitenziaria si presentassero al portone, a precisa domanda di un giornalista di Calabria Tv -come scrive Sabatino Savaglio sul portale www.lagente.info- di non essere al corrente di niente e che per quanto le risultava il carcere al massimo avrebbe avuto un utilizzo diverso. Tempo 24 ore e gli agenti hanno svuotato tutto. Manco il sindaco di Lametia, il vendoliano Gianni Speranza, ne sapeva niente, insomma era una mossa top secret che solo pochi addetti ai lavori conoscevano e che escludeva i diretti interessati. I poveri detenuti (non va sottaciuto che la gran parte dei carcerati in Italia è composta da disperati, tossicomani e stranieri) sarebbero stati informati poche ore prima: giusto il tempo di raccattare gli effetti personali, farsi la borsa- che in genere è un sacco nero di plastica per la spazzatura- e sperare di non esser sbattuti troppo lontano. Alcuni sono ora a Castrovillari, a nord di Cosenza, altri a Catanzaro, altri ancora a Reggio Calabria, qualcun altro è finito fuori regione: la qual cosa, è immaginabile, sta già aggravando il disagio di familiari e parenti dei carcerati e degli stessi secondini, altre «vittime» del sistema. Le proteste non si sono fatte attendere.
Verrebbe da pensare, ora, alle case circondariali e a quelle di reclusione che li riceveranno: affollate lo sono tutte le nostre galere, anche un solo elemento in più peggiora le ignobili condizioni in cui vivono da e per chissà quanto tempo. Se si considera che nelle strutture italiane ci sono circa ventimila persone in più di quelle potenzialmente ospitabili ci si fa un idea di cosa accada: basti pensare alla singolarità di una situazione che pochi vogliono vedere, con un’Europa che fissa in sette metri quadri lo spazio vitale minimo che gli allevatori devono assicurare ai maiali e il meno della metà consentito di fatto ad ogni detenuto. Di amnistia quasi più nessuno ha il coraggio di parlare, pertanto si procederà con aggiustamenti all’italiana, cioè con rimedi peggiori del male, un classico. Come potrebbe essere proprio il caso di Lametia: si chiude da una parte e si aggrava, seppur con numeri apparentemente ininfluenti, dall’altra.
Il San Francesco è stato per un periodo un carcere da Guinness, il più affollato d’Italia con un fattore di incidenza del 172% rispetto alla destinazione iniziale: un centro che può contenere al massimo 30 persone e che è arrivato a tenerne invece 80, fa saltare ogni presupposto minimo di tolleranza. L’altro giorno erano «appena» 51, in pratica quasi il doppio di quanti ce ne potevano stare.
La faccenda è già diventata una questione di campanile tra Lametia e il capoluogo Catanzaro: i politici locali si dolgono della chiusura del San Francesco perché la presenza di un carcere normalmente rappresenta un indotto economico per le città che li ospitano. A Catanzaro invece, appresa la notizia, ci si lamenta del paventato spostamento del provveditorato regionale del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) a Lametia, verosimilmente proprio nel San Francesco.
A giugno, tra l’altro, il “Caridi” di Siano di Catanzaro aprirà un padiglione nuovo di zecca dove saranno sistemati 300 detenuti di «media sicurezza»: le due operazioni sembrerebbero, allo stato, legate una all’altra.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 30 marzo 2014)