ARCHIVIOCausa lunga 30 anni, il creditore pignora i soldi del comune: niente stipendi fino a maggio e il sindaco si incatena al tribunale

admin07/03/2014
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Lentini-Comune-Palazzo-2

Quando quelli del Pd cominceranno sul serio a vivere sulla propria pelle le disfunzioni della giustizia, non sarà mai troppo tardi. Alfio Mangiameli, sindaco democrat di Lentini (Siracusa), può già insegnar qualcosa ai colleghi di partito: lui che, di colpo, si trova a non poter pagare gli stipendi a 240 impiegati e 48 netturbini almeno fino al 12 maggio prossimo; che neppure le duemila carte di identità nuove può più rilasciare perché gli 800 euro da versare in prefettura se li prende il creditore e che non potrà rinnovare il dominio internet per il sito istituzionale -che funge da albo pretorio-  perché i 600 euro li intercettano altri (nella foto il municipio di Lentini)

Lui che si trova nel mezzo di una matassa di carte bollate formatasi nella prima metà degli anni ’80 e che ancora oggi i magistrati non sbrigliano: lui che, da sindaco democrat, ha chiesto aiuto a Renzi durante la visita «canora» a Siracusa dell’altro giorno e che, vistosi snobbato, non ha potuto far altro che incatenarsi al palazzo di giustizia per farsi ascoltare. Ci sarà riuscito? Vedremo. 

 

Intanto, la storia si snoda lungo un tracciato tra il surreale e il ridicolo, in linea con una certa tradizione tutta italiana. Nel 1985 il comune di Lentini, quasi 30mila abitanti nella splendida Sicilia orientale, espropria dei terreni per costruire una scuola e alloggi in cooperativa e paga l’indennizzo previsto all’epoca. Poco? Tanto? Non si sa: la legge fissava dei parametri inderogabili e l’ente giocoforza vi si attenne, se li avesse pagati di più a quest’ora ragioneremmo di giustizia penale e non civile. Il proprietario dei suoli, legittimamente, si rivolge al tribunale perché considera l’indennizzo inferiore al valore del bene espropriato: in I grado gli danno ragione, il comune fa appello, ma pure il secondo grado conferma la scelta. Si consideri che siamo saltati al 1997, le schermaglie continuano diversi anni finché nel 2009 il comune ricorre in Cassazione. I primi due gradi avevano in sostanza stabilito che l’indennizzo fosse insufficiente e che l’ente avrebbe dovuto versare la differenza del valore ma aggiornato alle stime attuali: roba da non credere ma di casi così ce ne sono diversi sparsi per l’Italia. Come in quello di Lentini, almeno finora, ancora nessuno s’è trovato.

Da cinque anni (non 5 mesi) si attende che gli ermellini della suprema corte si decidano a mettere la parola fine: potrebbero rigettare il ricorso (facile) ma potrebbero pure azzerare tutto. Non proprio tempestivamente -si direbbe- ma sarebbe già qualcosa. Invece che cosa succede? Che, essendo quelle civili sentenze immediatamente esecutive, il privato si rivolge di nuovo al giudice affinché emetta decreto di esecuzione per il valore stabilito: 4,2milioni di euro, di cui 2,5 come sorta capitale e 1,7 tra interessi, aggiornamenti, adeguamenti e diavolerie varie. Il giudice adito, tra l’altro non togato ma onorario (con tutto ciò che, a volte, questo comporta) a quel punto ordina il pignoramento di tutte le somme in entrata al comune, secondo una consulenza tecnica da egli stesso ordinata ad un commercialista. Secondo il quale anche le anticipazioni di cassa per gli stipendi e l’ordinario (per legge impignorabili) sono da catturare. Come infatti avviene. Idem per un mutuo alla Cassa Depositi e Prestiti (solo per la sorta capitale) negato per un guazzabuglio informatico su cui pure ci sarebbe da dire molto, non foss’altro perché la Cassa è esente dall’obbligo di mettere tutto on line.

Per farla breve, è paralisi totale: il sindaco Pd, accerchiato dalle scartoffie e dalla nota efficienza del nostro sistema giudiziario non ha potuto far altro che incatenarsi. Solo quando la Digos l’ha portato dal prefetto (che già sapeva tutto ma che da tempo «si sarebbe interessato alla questione») questi ha preso di petto la situazione. Il giorno prima Mangiameli aveva raccontato tutto a Renzi: certo, affronteremo il problema, vedremo, faremo, ora ci sono le scolaresche che cantano e le scuole da ristrutturare. Dopodiché, silenzio. 

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 7 marzo 2014)

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