Una delle ragioni per le quali è consigliabile star lontani dalle procure e dagli uffici giudiziari italiani (al netto dei pochi eroi che ancora tengono alta la bandiera della giustizia) è che non sai mai il destino cosa ti riservi: anche quando rivendichi, o credi di rivendicare, la tutela di un diritto. Ne sa qualcosa il sindaco di Eboli, Martino Melchionda, travolto da una valanga giudiziaria da egli stesso azionata.
Consigliato da chissà chi (consiglieri e consulenti dell’establishment ebolitano, a quanto pare, infilano una cilecca dietro l’altra) ebbe l’ardire, lui che è pur sempre uomo di legge facendo l’avvocato da una vita, di entrare in una caserma per sporgere querela contro un consigliere comunale del suo stesso partito, Antonio Petrone, reo di aver raccontato pubblicamente uno dei tipici «magheggi» di quest’ultimo decennio in salsa locale. E non solo. La notizia è nota, è stata divulgata da Omissis alcuni giorni fa (vedi elenco in rubrica) e poi rilanciata, con le cautele del caso, dalle principali testate locali: in sintesi, il primo cittadino pur di sfiduciare un segretario di partito che considerava ostile (Salvatore Marisei) necessitava del voto, dentro il comitato direttivo locale, di un altro dirigente, Giuseppe Cicalese. Il quale aveva in corso, a quanto si legge negli atti giudiziari, una proposta per un progetto finanziato dalla Regione per politiche giovanili e/o roba del genere, per l’ottenimento del quale c’era bisogno che il sindaco desse il via libera: ovviamente non ai sensi di legge ma a quelli della logica politica.
«O voti contro Marisei oppure scordati di quell’assegnazione» potrebbe aver detto, in sintesi, detto Melchionda al Cicalese. Marisei fu rovesciato effettivamente dal direttivo del Pd grazie anche a quel voto e il Cicalese, di conseguenza, non ebbe problemi a vedersi assegnata la gara. Lo pensano gli inquirenti. In un paese normale questa roba qui non ci arriva neppure in una procura della repubblica, ma dal momento che da circa vent’anni, grazie soprattutto alle mollezze di un partito senza più vertebre qual è il Pd, oggi ci troviamo a discutere di concussione (ed altro) per atti politici compiuti in un organismo di partito, per giunta locale, alla stessa stregua delle scemenze immaginate dalla procura di Napoli per la così detta compravendita di senatori dell’ex premier. Tutte cose che finiranno nel nulla, compresa questa di Melchionda (al quale lo auguriamo sinceramente e senza ironia alcuna): intanto, però, vanno raccontate perché altrimenti si rischia di capir poco di ciò accade.
Allora, tornando al fatto: il sindaco del Pd denuncia il consigliere Petrone per diffamazione aggravata a mezzo stampa, per aver scoperchiato la pentola della presunta combine tra Melchionda e Cicalese. La procura indaga, dopo aver iscritto nel registro degli indagati Petrone (poi scattò pure il ridicolo codice etico dei piddini, sospensioni di qua e di là, «rispetto per la magistratura» ed idiozie varie) e dopo un paio di decine di mesi conclude: Petrone è non colpevole, ma era così ovvio che solo un temerario -per usare un eufemismo- ed il suo avvocato potevano pensare di ricavarne qualcosa, anzi -scrive il pm Cardea- chiedo di processare Melchionda per aver estorto il voto di Cicalese nel direttivo in cambio dell’assegnazione dell’appalto, chiamiamolo così, per Palazzo Massajoli di Eboli. E intendo -continua il pm- processare anche lo stesso Cicalese perché non solo mi ha reso false dichiarazioni quando ho indagato sulla denuncia di Melchionda ma addirittura è stato «favoreggiatore» del sindaco di Eboli nel coprire la concussione in suo stesso danno. Apparentemente un rompicapo, tecnicamente una cosa dall’esito imprevedibile.
Omissis ha scritto che sembrava paradossale che la procura avesse «saltato» il primo reato evidente agli occhi dell’osservatore: come mai nell’inchiesta contro Melchionda e Cicalese mancava il reato di calunnia? Cioè, come mai il pm non si era soffermato sul fatto che se la denuncia contro Petrone era falsa ne discendeva di conseguenza la consapevolezza del sindaco di Eboli dell’innocenza del consigliere comunale denunciato? Se una persona, cosciente della non colpevolezza di qualcuno, denuncia ugualmente questo qualcuno all’autorità giudiziaria, facendone scaturire un procedimento in suo danno, questa secondo il nostro codice si chiama calunnia. Ed è uno dei reati più infami che ci sono, pur se tale non appaia.
Ieri, infatti, il pm Maurizio Cardea ha siglato l’avviso di conclusione delle indagini contro Martino Melchionda proprio per il reato di calunnia. Scrive il sostituto procuratore: «…..indagato del delitto p.e. dall’art.368 Cp, per avere con querela ratificata il 12/8/2011, accusato Antonio Petrone, del delitto di diffamazione a mezzo stampa pur sapendolo innocente». Più chiaro di così. Ora il punto qual è? Da indiscrezioni dell’ultim’ora sembra che gli inquirenti considerino marginale la faccenda del progetto per palazzo Massajoli, puntanto invece i riflettori su altri bandi di gara e progetti finanziati con danaro pubblico: si vocifera trai corridoi del palazzo, di interesse verso atti relativi ad altri progetti legati all’immigrazione -dove pure comparirebbero parenti degli odierni protagonisti- e ad un museo ebolitano. Ipotesi di rafforzamento di questa iniziale indagine. Allo stato, però, sono solo abbozzi circolati. Si vedrà.
Vien da chiedersi, tanto per sorridere un po’, un’ultima cosa: il segretario provinciale del Pd, Nicola Landolfi, dopo aver recitato la formula di rito alla quale non crede nessuno di quelli che la pronunciano («Fiducia nel lavoro della magistratura» ha detto a mezzo stampa, forse inconsapevole del ridicolo cui si esponeva, almeno speriamo) che farà? Sarà integerrimo anche stavolta?
Peppe Rinaldi
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