Cadere da una sedia mentre si è in ufficio, rovinando col sedere per terra, è un’esperienza vissuta da molti. Che può avere, a volte, fastidiose conseguenze per la salute: distorsioni del bacino, lesioni alla colonna vertebrale, tumefazioni, lividi ed escoriazioni. Ne discende un danno per il lavoratore -caduto, ripetiamo, da una sedia, non da un’impalcatura- che sarà poi compensato da chi di dovere a seconda di una serie di parametri valutativi che possono cambiare da lavoratore a lavoratore. Si chiamano cause di servizio, un tempo sorta di sport nazionale, oggi circoscritto da un obbligato cambio di «clima» nelle finanze del paese: l’unica cosa rimasta uguale è la lunghezza dei procedimenti, giunta in alcuni casi a livelli parossistici coprendo alcuni decenni.
Ad un magistrato in servizio nel distretto napoletano, però, una caduta dalla sedia, che pure qualche danno vero gli creò, s’è risolta in un baleno (si fa per dire): appena sette anni dalla data dell’infortunio. Ma soprattutto con risarcimento per causa di servizio pari a circa 140mila euro. Più altri oneri. Una storia tutta italiana, raccontata ieri dal Corriere del Mezzogiorno.
Lui si chiama Francesco Schettino. E nel 2007 la sedia del suo nuovo ufficio al Centro direzionale di Napoli traballò facendolo cadere in terra. Primo soccorso dei colleghi, poi l’iter sanitario del caso e l’avvio del procedimento risarcitorio in costanza di congedo dal posto di lavoro. Che durò inizialmente all’incirca tre mesi (dal 24 marzo al 18 giugno 2007) finché l’Inail non l’ebbe dichiarato «guarito con postumi» valutando l’invalidità nella misura del 30%: siamo nel luglio del 2007. Nel giugno di due anni dopo (2009) il ministero della Giustizia gli riconosce questo tipo di patologia: «Esiti di trauma distorsivo del rachide lombare produttivo di ernia discale con impegno radicolare e rigidità del tratto dorso-lombare». I referti sono un po’ come le norme dei codici, non sempre è agevole la comprensione per chi tecnico non è. Ma andiamo avanti. L’anno dopo il giudice fa domanda di pensione, che ottiene, e dopo altri due anni (siamo arrivati al 2012) formula richiesta di risarcimento per circa 200mila euro, così ripartiti: 116.838 a titolo di danno biologico; 33.883 come «aumento personalizzato»; 50.000 per il danno esistenziale; 2.410 quale «lucro cessante per le decurtazioni stipendiali subite nei periodi di assenza dal servizio per malattia», cioè il mancato incasso di parti dello stipendio che se fosse stato ancora in servizio sarebbero state maggiori di quanto comunque incassato. Il ministero della Giustizia si oppone.
Come di consueto si finisce al Tar. E che cosa decidono i magistrati del tribunale amministrativo relativamente alla pretesa del magistrato che loro si era rivolto? Che effettivamente al dottor Schettino, che ha agito nel più completo rispetto della normativa, venga «riconosciuta la somma richiesta». Non si conoscono precedenti in materia, almeno non di questo tipo. L’interessato, al Corriere del Mezzogiorno, non ha inteso replicare limitandosi a dire che per lui «parla la sentenza».
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 28 febbraio 2014)