Che non sia finita a botte è già un successo che la dice lunga sulla secolare funzione mitigatrice esercitata dalla chiesa cattolica. Si, perché mettere insieme i discendenti dei Savoia e dei Borbone senza che nessuno si accapigliasse, per giunta a Napoli, per giunta in un monastero (foto da napoli.repubblica.it) con i rispettivi supporters dentro e fuori, diventava verosimile solo se al centro ci fossero state- mettiamola così- questioni di elevato grado spirituale. Come la beatificazione di Maria Cristina di Savoia, regina delle Due Sicilie, sangue savoiardo, mamma del mitico «re Franceschiello», donna pia ed amatissima dai sudditi del glorioso regno meridionale.
Papa Francesco ha firmato il decreto agli inizi del maggio scorso, in ossequio alle disposizioni impartite dall’oggi emerito Ratzinger secondo cui le beatificazioni siano da celebrarsi non più a Roma ma nelle sedi vescovili di riferimento. E così, infatti, è stato, per la regina Savoia che «scese» a Napoli per sposare Ferdinando II nel tripudio della folla partenopea: «Napoli che accolse Maria Cristina come regina nel 1832, assieme al suo sposo, oggi gode perché la Chiesa ha riconosciuto l’eroicità delle sue virtù e la presenta alla venerazione dei fedeli come maestra del popolo cristiano» ha detto il cardinale arcivescovo Crescenzio Sepe, nello splendido scenario del monastero di Santa Chiara, alla presenza di una nutrita schiera di reali e nobili provenienti da tutta Europa.
A guardarli sembrava di esser tornati indietro di qualche secolo, e chissà che non sia un bene a giudicare da certe pieghe prese all’indomani di un’unificazione territoriale imposta e mai realmente digerita. Chiedete a un napoletano di parlarvi di patria e «piemontesità» varie e ne coglierete una punta di vaghezza nello sguardo. Sempre che vi risponda. Ma l’altro giorno è andato tutto bene, nessuno s’è sognato di regolare conti in sospeso (e in genere i conti dei nobili sono salatissimi) tra i vari rami interni alla dinastia Borbone (c’erano sia quello italiano che quello spagnolo) e men che meno tra questi e i nemici storici con sede a Torino (e Cagliari). Maria Cristina, in fondo, sembra meritasse questo e pure altro, non a caso si avvia verso il luminoso crinale di una santità altrimenti sconosciuta tra alberi genealogici e incroci familiari vari. Fuori dal monastero volavano i «Viva o’ rré» in favore di Carlo e Camilla di Borbone da parte dei numerosi supporters accorsi, quantitativamente superiori ai sostenitori sabaudi ma non per questo pronti a riaprire la vexata quaestio dinastico-politica.
Quando però ci si mette a tavola le cose possono cambiare, nel bene e nel male, sangue blu o meno. Sta di fatto che al “Circolo dell’Unione” (monarchica) di Napoli, dove s’è tenuta la cena ufficiale per i festeggiamenti, i Savoia erano sistemati da una parte, separati e lontani dai Borbone: ciò non ha impedito che il principe Carlo profondesse un impeccabile e distensivo baciamano a Gabriella di Savoia. Amedeo d’Aosta, presente alla funzione religiosa, ha invece preferito disertare la cena. Motivi sconosciuti. Almeno per ora. Poi, si sa come sono questi reali: dove li leghi la sera rischi di non trovarli al mattino. Unico politico «laico» invitato (ma non presente) il governatore campano Caldoro. A nessuno sarà venuto in mente di chiamare il sindaco De Magistris, erede culturale della «giacubbina» Repubblica di Napoli di Gioacchino Murat, figlia naturale di chi, solo 10 anni prima, ai presenti in sala e in chiesa come minimo avrebbe staccato la testa.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 26 gennaio 2014)