ARCHIVIOMilleduecento case, due miliardi: l’evasione record della dama chic

admin21/01/2014
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Armellini Angiola

Milleduecentoquarantatré fabbricati -fra cui, pare, anche tre alberghi- e non sentirli. Un fisco e un sistema di controlli giovani, diciamo pure giovanili, talmente tanto in forma da non accorgersi che ad una signora romana è stato possibile non far sapere in giro che di quelle case ne era proprietaria: non foss’altro per non dover versare all’erario cifre da capogiro, secondo i primi calcoli, qualcosa come due miliardi di euro tra rimesse dirette e indirette, Imu, Ici e via tassando.  

Sarebbe questa -una volta confermata nel dettaglio- l’ennesima, italica storia di indagini tempestive ed efficienti «discovery» che ha portato alla luce l’esorbitante scandalo. Lei è Angiola Armellini (foto) di professione manager, figlia di uno dei tanti re del mattone di Roma, Renato, annegato agli inizi dei ’90 nel mar di Toscana dopo un’esistenza trascorsa a maneggiare piani regolatori, combattere contro tasse, sindacati e procure, tirando su case, palazzi, quartieri, interi rioni come la Magliana, il Tuscolano, l’Eur (non quello mussoliniano, ovviamente) e l’Ostiense. E chissà dove e cos’altro ancora. La manager è stata per un periodo anche compagna del noto centristra Bruno Tabacci

I milleduecento e rotti appartamenti sono stati individuati dalla tributaria al termine di un’indagine durata un anno e mezzo in cui si sarebbe appurata la proprietà in capo alla donna dello sterminato parco-case, per la maggior parte ricadenti nel comune di Roma, attraverso una rete di società schermo con sede estera, Lussemburgo su tutte. Le «applicazioni tecniche» per la presunta maxi operazione truffaldina avrebbero poi avuto come baricentro il cambio di residenza della donna: dal 1999 risultava cittadina del Principato di Monaco, ma le indagini avrebbero dimostrato l’abitualità della sua dimora in un attico super lussuoso nel cuore della capitale. Sotto l’aspetto fiscale, le è stata contestata la mancata dichiarazione di disponibilità estere in Lussemburgo, nel Principato di Monaco ed in Svizzera, in violazione delle disposizioni sul cosiddetto «monitoraggio fiscale»: in pratica i due miliardi circa di euro evasi deriverebbero -anche- dal fatto che la donna non abbia dichiarato al fisco di possedere all’estero tanta disponibilità. I finanzieri, che le hanno pure disconosciuto diversi scudi fiscali, hanno eseguito controlli sia nei suoi confronti come persona fisica sia nei confronti di tre holding lussemburghesi, constatando un’omessa dichiarazione di ricavi, al lordo dei costi sostenuti, per circa 190 milioni di euro (oltre ad un’imposta di registro evasa per circa 230 mila euro). Sul piano penale, è stata solo deferita alla procura. Nell’elenco degli indagati, in tutto dodici, si legge di consulenti italiani ed esteri incaricati della gestione contabile e fiscale. Nessun arresto, solo denunce e deferimenti, tutti accusati anche di associazione a delinquere. Il tutto veniva alla luce in contemporanea ad un ex elettrauto campano arrestato e tradotto in galera per una bancarotta da ventiduemila euro (in larga parte contributi previdenziali) per il crac della sua officina che non riusciva più a mandar avanti. Anche questa è Italia, spesso soprattutto questa.

Agli inizi dei Novanta ci fu chi calcolò in 3.600 il numero degli immobili costituenti l’impero degli Armellini, costruito dal «genio» del papà geometra a partire dagli anni 50 non sempre con metodi «ortodossi» a quanto i romani stessi raccontano: ora, presumendo invariato il quadro, se ne desume che 2.357 manchino all’appello, o appartengano a sua sorella Nazarena, l’altra erede Armellini. Sta di fatto che secondo i calcoli dei finanzieri che hanno messo i piedi nel piatto (e che piatto) della signora, in circa 11 anni Angiola sarebbe stata capace di trasferire all’estero ogni ben di Dio. Inutile dire perché.

La notizia è dilagata  durante una delle tante sottoscrizioni di protocolli d’intesa tra enti pubblici per il contrasto di illegalità varie. Il nome dato all’operazione della Guardia di Finanza è «All Blacks»: e chissà se abbia a che vedere con le iniziazioni Maori dei fuoriclasse australiani del rugby oppure -molto più verosimilmente- con il nero (fiscale) assoluto esercitato dinanzi a tanta proprietà immobiliare.

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 21 gennaio 2014)

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