Le conversazioni tra avvocato e cliente non possono essere ascoltate. Da nessuno. Punto. Oltre al codice e alla «Costituzione più bella del mondo» il divieto è imposto da un’antica civiltà giuridica opportunamente puntellata e vigilata dalla qualità degli attori del foro.
A giudicare, però, da quanto successo tra Basilicata e Campania sembra che le cose non tornino, specie leggendo un fax finito nelle mani di Libero dopo esser rimasto, incredibilmente, all’interno di un fascicolo processuale: agenti di polizia penitenziaria che si rivolgono al magistrato per avere istruzioni in merito al colloquio tra un detenuto e il suo avvocato, non è esattamente un interrogativo da lasciar impresso su un foglio ufficiale, quasi si trattasse di una banale comunicazione di servizio. Soprattutto se il difensore non era indagato né sospettato di favoreggiamenti o concorsi vari.
E’ la storia di un rumeno di poco più di vent’anni, arrestato ad aprile scorso per il furto di un’Ape Car, ad aver inconsapevolmente squarciato il velo su un andazzo -a quanto pare- diffuso ma di cui c’era scarsità di prove materiali. Al centro di tutto, fra l’altro,non c’era neppure un mega boss slavo in affari con la mafia balcanica ma un poveraccio da poco maggiorenne. Sarà forse per questo che è successo.
La questione è all’attenzione del Csm, del Guardasigilli, della commissione giustizia di Camera e Senato, della Commissione diritti umani del Senato, del presidente della repubblica oltre che del presidente del tribunale di Lagonegro (il distretto in provincia di Potenza dove si è verificato il fattaccio) e del giudice del dibattimento cui Michele Capano, l’avvocato «intercettato», s’è rivolto con una nota ufficiale.
Il fax che dal carcere di Sala Consilina (Salerno), dove Georgescu Adrian Mihaita era detenuto, è stato spedito al gip del relativo tribunale per avere «istruzioni»: in pratica, si chiedeva al giudice cosa fare con la richiesta del detenuto di poter parlare al telefono con il suo difensore, se limitarsi ad ascoltare oppure registrare. Ecco testualmente cos’è scritto nel fax n. 333 del 18 aprile 2013: «Per dovere d’ufficio si trasmette l’allegata istanza prodotta dal nominato in oggetto, con la quale chiede di intrattenere corrispondenza telefonica con il proprio difensore di fiducia avvocato Capano Michele del foro di Salerno all’utenza telefonica 089/XXXXXX. Tanto premesso, trattandosi di soggetto a disposizione di codesta autorità, pregasi far conoscere disposizioni in merito, precisando in caso affermativo modalità di esecuzione della stessa (con ascolto e registrazione o meno)». Sembra non ci sia altro da aggiungere, le parole hanno un significato preciso al di là dell’interpretazione che si intenda darne. Roba di cui, in linea teorica, dovrebbe rispondere l’intera filiera giudiziaria sottostante: dal magistrato con relativi organi di controllo al direttore del carcere, passando per gli agenti e la burocrazia.
Altri casi eclatanti si sono registrati nei mesi scorsi. Uno su tutti il clamoroso arresto di un noto penalista napoletano (l’avvocato Salvatore Lepre) «sorpreso» a discutere con un proprio cliente. Vicenda complessa, intricata, difficile da sciogliere: nella storia di Georgescu invece, c’è poco da decifrare, è tutto nero su bianco.
Intanto, dal 13 al 15 gennaio i penalisti italiani hanno proclamato uno sciopero per attirare l’attenzione sull’argomento che, a quanto pare, è più diffuso di quanto si pensi. Appuntamento a Napoli per la manifestazione nazionale.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 10 gennaio 2014)