ARCHIVIOParadossi a Strasburgo: l’Europa vuole più dipendenti pubblici rom

admin12/12/2013
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Strasburgo Parlamento europeo

E’ quello che un certo Joseph Ratzinger, in tempi non sospetti, bollò come «il crescente odio di sé sviluppato dall’Occidente». Il concetto era complesso, si riferiva alle grandi questioni delle civiltà contrapposte, di sicuro il futuro ex Papa non aveva in mente ciò che stiamo per raccontare. O non solo. Qualcosa che vi si avvicina però sì, essendone in un certo senso causa ed effetto al tempo stesso: nella pubblica amministrazione degli stati membri dell’Ue si apra un canale preferenziale per le genti di etnia rom. 

Nel senso che, se e quando si tratterà di assumere nuovo personale nelle amministrazioni statali, si privilegino rom e/o nomadi in generale: segnatamente le donne rom, in quanto la decisione assunta non poteva non esser partorita dal gran calderone del conformismo di genere, nuova dittatura culturale, per poi allargarsi al resto della popolazione. Ma chi si preoccupa tanto di integrare chi dell’integrazione non sa che farsene? Il parlamento europeo con un emendamento approvato l’altro giorno. In seduta plenaria, tra l’altro, dove se ne sono viste delle belle, a partire da alcuni membri del Ppe che hanno votato a favore o che non si sono presentati in aula, favorendo l’approvazione di una decisione destinata a suscitare polemiche accese.

Il provvedimento è il numero 24.A7-0349/2013, relatrice l’eurodeputata ungherese cristiano-democratica Livia Jaroka. Il tema, pomposo a partire dal titolo come lo sono un po’ tutte le invenzioni linguistiche partorite dalle questioni mainstream (vedi cultura di genere, ideologia Lgbt, bimbi fabbricati su ordinazione a suon di dollari per soddisfare i capricci di opulente coppie gay, etc), era stato vagliato nella “commissione Femm”, la stessa della risoluzione Estrela sul «diritto» dei bambini ad una masturbazione consapevole, alla conoscenza del proprio corpo a partire dai 4 anni (fortunatamente respinta):  “Aspetti di genere del quadro europeo per le strategie nazionali di integrazione dei rom: (l’Ue) invita gli Stati membri a istituire misure di azione positiva per facilitare l’accesso all’occupazione nella pubblica amministrazione dei rom”

Arzigogoli verbali per dire una cosa semplice: cari stati membri di questa favolosa Europa, sappiate che abbiamo approvato una direttiva che vi vincola, una volta recepita dal vostro stato, a rendere agevole l’accesso ai posti di lavoro pubblici per le donne rom, poi per i rom in generale. Manca la categoria dei «rom-gay», ma c’è sempre tempo per porvi rimedio a giudicare dall’interesse dell’Ue per queste materie.
Dai verbali della seduta si estraggono anche i nomi dei deputati europei che hanno detto sì a quest’ennesimo solco tracciato sulla via della conciliazione universale. Socialisti e liberaldemocratici compatti -o quasi- a favore, così come alcuni popolari del Ppe, bizzarramente incarnati dall’ex segretario dc De Mita, per fare un esempio.

I numeri hanno però dato ragione allo schieramento «progressista» per le numerose assenze nel Ppe. La Lega Nord, inutile dirlo, ha votato contro. 
Il capogruppo del Carroccio, infatti, Lorenzo Fontana, affila le armi: «Questi sono impazziti, questa Europa sta perdendo la testa e per fortuna che a maggio si va a votare, così con la nuova alleanza identitaria europea le rivoltiamo come un calzino queste istituzioni comunitarie. Questo emendamento rende l’idea della deriva che sta prendendo questa Europa, che se ne frega della sua gente e discrimina le maggioranze e i valori fondanti della nostra comunità, per tutelare piccole minoranze e disvalori. Chiedere di favorire i Rom nel settore pubblico è uno schiaffo alla nostra gente, in un momento per giunta di grave crisi occupazionale. Si puniscono le persone oneste e si avvantaggia chi vive di espedienti illegali e non fa nulla per integrarsi».

Fontana, sarcastico, conclude: «E’ stravagante questa sinistra europea: per rimediare a una discriminazione che non c’è, ne crea una che c’è”. Gli si può dar torto?

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 12 dicembre 2013)

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