Si dice sempre che per ordinare i bilanci della sanità una siringa debba avere lo stesso prezzo a Reggio Calabria e a Trento. Giusto. A volte, però, sfugge che nella selva del sistema sanitario possa capitare che nello stesso ospedale ci siano quattro posti diversi per quattro tipi di esami del sangue: una quadruplicazione di costi, personale e macchinari gratuita, che conduce a risultati tra il comico e il tragico.
Com’è successo al Policlinico di Bari dove alcuni pazienti si son visti appioppare in mano provette con sangue appena prelevato, con l’invito a consegnarle ai rispettivi laboratori: che daranno il responso in giorni diversi costringendo l’utente a recarsi per quattro volte in ospedale. Ne ha parlato la stampa locale, ripresa dall’edizione barese di Repubblica.
Protagonista una coppia di coniugi che nell’affrontare la già cospicua pioggia di analisi «imposta» alle donne incinta, s’è imbattuta nell’originale labirinto. «Ecco le vostre provette, ora andate a consegnarle in laboratorio da soli»: così un’infermiera ai due, già sbalorditi per le provette sistemate «artigianalmente» in un guanto di lattice. Ne avranno avuti in abbondanza in quel momento, almeno quanto scarseggiavano in contenitori di plastica. Pensavano ad uno scherzo, invece era vero: dal Cup alla patologia clinica, dall’ematologia all’endocrinologia, questo il tragitto compiuto nell’infernale mattinata della coppia, durata la bellezza di 4 ore e mezza. Inutile dire cosa implichi tutto ciò, per i pazienti e per l’ospedale.
La coppia non si è scoraggiata e, presa carta e penna, ha scritto una lettera all’Urp (Ufficio relazioni con il pubblico) del policlinico descrivendo l’imbarazzante scena di due persone in giro per i padiglioni con le provette di sangue alloggiate in un guanto e a caccia dei laboratori giusti per farlo analizzare. Due i disservizi segnalati: mancanza di organizzazione tra i vari reparti e mancanza di un centro unico per i prelievi: «La cosa più incredibile – si legge nella lettera apparsa sui media locali- è l’infermiera con cui abbiamo avuto il primo colloquio che ci sistema alla buona le tre provette all’interno di un guanto e ci manda in giro con tre impegnative presso i vari poliambulatori. Naturalmente c’è ancora da ritirare i referti, ognuno in un giorno diverso e ognuno in una struttura diversa». E pensare che il Cup (Centro unico prelievi) esiste da circa una decina di giorni, struttura nuova di zecca con tutte le sale ad hoc per gli esami del sangue, indipendentemente dai reparti di riferimento. Basta però salire di un piano che le cose assumono un contorno diverso: unico bagno per uomini e donne, di possibilità accesso per disabili manco a parlarne, è qui che l’infermiera ha arrabattato il guanto infilandoci dentro le provette.
Antonio Campobasso, presidente del Tribunale dei diritti del malato, fotografa così la situazione: «Il centro unico prelievi non è unico per niente visto che la gente gira per fare gli esami; muoversi con le provette in mano è non solo fastidioso ma pure pericoloso e anti igienico».
I microbiologi lamentano l’eterno problema delle strutture pubbliche: «Mancano 4 medici e 7 tecnici, facciamo gli esami sui prelievi grazie al lavoro non retribuito degli studenti specializzandi. L’ultimo tecnico in questo reparto è stato assunto nel 1982». Giorgina Specchia, primario di Ematologia conferma: «Nel nostro reparto curiamo circa 130 pazienti al giorno, il 70% di questi fa il prelievo, un’avventura del genere non può accadere. Dare le provette in mano ai pazienti è una superficialità inammissibile, ma si sarà trattato di un’eccezione».
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 13 dicembre 2013)