Era il 23 dicembre di due anni fa quando la procura di Napoli incassò il rinvio a giudizio per lui. Ieri, a distanza di due anni esatti dal via libera al processo, per l’ex capo della Squadra Mobile Vittorio Pisani (foto) si ribalta totalmente la scena: è fuori da tutto, non c’entra niente con le accuse che gli sono state mosse, probabilmente non avrebbe dovuto neppure essere processato. Fenomeno non proprio sconosciuto nei nostri tribunali.
Assolto «perché il fatto non sussiste» ha decretato in un’aula stracolma di gente e tra comprensibili lacrime di gioia, la VII sezione penale del tribunale di Napoli presieduta dal giudice Rosa Romano. Pisani era accusato di favoreggiamento, rivelazione di segreto istruttorio, falso e abuso d’ufficio: in pratica, secondo i due pm Enrica Parascandolo e Sergio Amato che hanno condotto l’inchiesta durata 17 mesi, Pisani aveva spifferato al suo amico Marco Iorio, imprenditore della ristorazione e poi coimputato, l’esistenza di indagini sul suo conto, avvertendolo delle mosse della procura.
Non solo: sempre secondo i due pm, l’ex capo della Mobile che schiacciò una delle più sanguinarie faide di camorra che la storia ricordi, quella di Scampia, e che in un certo senso «catturò» l’ex primula rossa dei Casalesi Michele Zagaria, aveva anche consigliato il ristoratore sul come fare per esportare un po’ di contante in Svizzera. In questa dinamica perversa sono andate ad incastrarsi le singole fattispecie di reato contestate a Pisani e ai soggetti finiti nei guai nell’estate 2011 con il blitz “Megaride”, dal nome dell’isolotto dinanzi al lungomare di Napoli dove erano dislocati i locali dei fratelli Iorio, tutti sequestrati e -ovviamente- dissequestrati appena le cose si sono andate chiarendo. Suscitò particolare clamore il coinvolgimento del calciatore Fabio Cannavaro, socio dei fratelli Iorio in alcune pizzerie, la cui posizione però venne presto chiarita. Non così per gli altri coimputati, undici dei quali assolti su complessivi diciassette indagati iniziali: appena sei, infatti, i condannati nel primo grado di questo processo che non ha mancato -e verosimilmente non mancherà ancora- di suscitare accese polemiche. Si tratta di Marco, Massimiliano e Carmine Iorio, condannati a cinque anni il primo e a quattro gli altri due; Bruno Potenza, nove anni per associazione a delinquere ed usura; Salvatore Potenza e Domenico Scarpa a sei anni. Il dato significativo è che per tutti i destinatari della pena il tribunale ha escluso la famosa aggravante ex art. 7, cioè quella di aver agito con metodo e finalità mafiosi, decostruendo così l’iniziale impianto accusatorio, tradottosi giocoforza in ritornello pubblicitario, di un capo della Mobile in affari con la malavita organizzata di Napoli.
Un’ipotesi che lasciava perplessi molti e che affondava l’origine nel solito pentito di camorra che spiattella di tutto e di più: l’ex ras del clan dei «Capitoni», Salvatore Lorusso, da confidente dello stesso Pisani era passato al ruolo di suo primo accusatore. Pisani ha ricevuto mazzette dalle mie mani a botte di cinquantamila euro per volta; Pisani ha comprato un appartamento a Napoli dal valore sproporzionato rispetto ai suoi guadagni ufficiali: in sintesi, queste le accuse uscite dalla bocca del così detto pentito. Il tribunale non l’ha ritenuto credibile, a differenza degli uomini della pubblica accusa che su di lui avevano puntato tutte le fiches. Ed è proprio per una vicenda interna alla procura di Napoli -risalente al periodo antecedente alla nomina del nuovo procuratore capo- che sarebbe scoppiato tutto. Non va sottaciuta, tra le altre cose, la «mitica» idiosincrasia tra Pisani e Giuseppe Narducci, l’ex pm di Calciopoli e del caso Cosentino, oltre che ex assessore di De Magistris, oggi in forza al tribunale di Perugia dopo essersi ritrovato dimissionato a mezzo stampa dal sindaco di Napoli.
Del resto a un poliziotto che osò mettere per iscritto che non c’era necessità di dare la scorta a Roberto Saviano vista l’assenza di riscontri alle minacce ventilate, il minimo che poteva accadere era di trovarsi risucchiato in un gorgo dal quale non sempre è facile uscire. Ieri l’incubo è finito. Almeno per ora.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 19 dicembre 2013)