Non riesce a camminare né a parlare, il collo non ce la fa più a reggere la testa se non con un collare specifico. Le metastasi al midollo spinale fanno di lui un fantasma tra i fantasmi di Poggioreale. E’ anche dimagrito di 60 chili: in pratica è un’ameba che più volte «incaricati di servizio» hanno confermato in cella in quanto «può curarsi anche in prigione». Certo, come no.
La storia l’ha raccontata ieri il Corriere del Mezzogiorno.
Vincenzo F., 35 anni di cui già quattro trascorsi dentro per aver ucciso nel 2009 un uomo durante una rissa, non ha un Guardasigilli che si occupi di lui e neppure un parlamentare, un consigliere regionale che possano digitare il numero dei vertici del Dap e farlo scarcerare.
Se Giulia Ligresti aveva perso 6 chili e minacciava di lasciarsi morire, dinanzi ai 60 che il cancro ha divorato a Vincenzo che si fa, si spalancano in automatico i portoni verdi di Poggioreale? Le sue condizioni sono disperate, la famiglia è riuscita qualche volta a fargli fare terapia -dopo infernali trattative sui permessi- in un centro specializzato esterno, privato e costosissimo. Ovvio che non basti.
C’è solo suor Lidia ad assisterlo come può ma finisce sempre che, alla sera, esca da quella cella con occhi gonfi di lacrime vedendolo ridotto peggio di una larva. Ma può «curarsi anche in prigione» ripetono impersonali ed indaffarati magistrati di sorveglianza, assorbiti forse dagli atti delle inchieste contro «politica-affari-camorra» della famosa locale procura.
Il 28 settembre, durante una visita al carcere della sua città, Napolitano si disse toccato da quel “giovane” cui volle stringere la mano: non ne è derivato alcunché, oggi siamo al 15 novembre e Francesco è sempre lì, con il cancro a mangiarselo. Le autorità? Si registra l’indignazione di Adriana Tocco, Garante del detenuto: «E’ uno dei casi più drammatici degli ultimi anni». Ma domani sarà il 16 novembre. E così via.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 15 novembre 2013)