A furia di invitar gente si corre il rischio che qualcuno, alla fine, accetti per davvero. E così Luigi De Magistris (nella foto con orecchino rosso in simbolica adesione all’universo gay) sindaco di Napoli ma soprattutto ex pm ossessionato dai poteri forti ed occulti, incassa l’ok del più forte tra i forti dei poteri, per quanto non occulto (anzi), quello cioè che ha piegato una nota multinazionale alimentare nel lampo di un tweet: il movimento omosessuale, il cui arcipelago di sigle ha pochi giorni fa dato il placet alla celebrazione in città del prossimo “Gay Pride”.
Si tratta solo di scegliere la data (dovrebbe essere il 29 giugno) ma la decisione è stata formalmente presa, il grosso è fatto: e Napoli – a quanto dicono gli organizzatori- è già una città migliore perché «la crisi in cui versa si risolve partendo dai diritti civili». Peccato non averci pensato prima, era così semplice.
Se Shakira fu preziosa e Obama troppo concentrato a bombardare con il Nobel della pace nell’altro drone, senza dire di Al Pacino che snobbò l’invito preferendo Maria De Filippi, ci si può sempre consolare con i nostri Cecchi Paone o i nostri Grillini (nel senso di Franco, storico militante omosex) vari. L’assemblea nazionale dei comitati provinciali Arcigay -in tutto sono 52- riunitasi a Bologna ha decretato: vada per Napoli, se ne parla a giugno 2014.
Ne ha dato notizia Antonello Sannino, presidente Arcigay Napoli. Evento rilanciato la scorsa settimana dall’edizione napoletana del Mattino, con un estasiato articolo ricco di «diritti civili», «percorsi di integrazione», «contrasto all’omofobia» e «sinergico confronto tra diversi» all’esito della presentazione di un’altra iniziativa sostenuta dal comune, intimamente e culturalmente collegata al più noto Gay Pride: si tratta del “Mosaico della solidarietà”, progetto finanziato dal Centro Servizi Volontariato e dalla II Municipalità, il cui acme si toccherà il prossimo 14 dicembre con la “Notte della multiculturalità e delle differenze”, sorta di notte bianca omosessualista che dovrebbe contribuire, grazie alla presenza capillare della Rete Lgbt, all’eliminazione di ogni forma di discriminazione. Come? Semplice, molto semplice: attraverso l’incontro tra gay, lesbiche, transessuali, metrosexuali, bisessuali (la parola «eterosessuale» sembrerebbe bandita) immigrati, extracomunitari e stranieri, tutti rigorosamente definiti migrantes. Cosa in concreto questo significhi -al di là dei sempreverdi laboratori di poesia, di sport e cineforum (indovinate il tema)- non si è capito esattamente anche se fa tanto chic e insegna a stare al mondo.
Gli alberi sradicati dal maltempo, le rogne dell’acqua con l’Espresso, le periferie in ambasce serie con i rifiuti, il caos cittadino dei trasporti, i chilometri di bancarelle di abusivi, lo spettro dell’emergenza munnezza che sottotraccia continua ad agitarsi, le navi per l’Olanda che costano sempre più, i lavoratori del San Carlo mal pagati, il disagio metropolitano- quindi esistenziale- alle stelle, la refezione scolastica in ansia per gli appalti, i fastidi attuali e futuri provenienti dalla procura, lo stesso Bassolino «born again» che non gli dà tregua dai media, la droga che scorre a fiumi, la parentopoli strisciante che l’ha quasi del tutto denudato dinanzi agli occhi dei napoletani, e via dicendo. Un breve excursus tra i guai simbolici della città – che ormai ricadono, a distanza di circa tre anni di mandato, sul sindaco attuale- ai quali oggi De Magistris oppone un risultato concreto in tema di armonia dell’universo omosessuale.
Del resto è stato lui, non più tardi dell’ultima fine estate a scrivere all’Arcigay nazionale chiedendo che Napoli fosse sede ospitante per l’happening italiano di gay, lesbiche e ambidestri vari. Subito accontentato, del resto quello gay è l’unico universo col quale il sindaco di Napoli ancora non ha rotto. Neppure sotto il profilo della comprensione linguistica. Dice uno degli organizzatori che «oggi finanziamo uno sportello che vada oltre lo sportello». Ecco. Appunto.
Peppe Rinaldi
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