La Corte di cassazione sigilla definitivamente la vicenda «Why Not», processo nato a Catanzaro oltre sette anni fa per mano dell’ex pm Luigi De Magistris (foto) oggi sindaco di Napoli. Nella tarda serata di mercoledì la VI Sezione penale ha letto il dispositivo di sentenza con cui sostanzialmente – e formalmente – ha cassato le risultanze del I e II grado nei confronti di alcuni tra i principali indagati.
Va precisato che stiamo parlando di quanti, nella convulsa sovrapposizione di nomi fatta con e dopo De Magistris, scelsero il rito abbreviato. Un altro pezzo della lista di soggetti colpiti dall’ex pm ha invece scelto il rito ordinario: che pure continua a trascinarsi stancamente nelle aule del tribunale calabrese tra l’indifferenza generale.
L’accusa nei confronti di politici, dirigenti, funzionari regionali e imprenditori si basava su un classico, l’utilizzo fraudolento di fondi pubblici: per anni, scrivendo e parlando di «Why Not», si è detto che si trattava di danaro dell’Ue drenato in Calabria e fatto sparire chissà dove. In realtà di fondi europei non c’è mai stata traccia trattandosi di partite del bilancio regionale di diretta emanazione statale.
In ogni caso, dopo alterne vicende processuali e non solo, l’altra sera la parola fine all’incubo di alcuni indagati «di peso» è stata messa. A cominciare dal più importante di tutti, l’imprenditore Antonio Saladino, uomo chiave del processo attorno al quale fu costruita l’intera l’indagine, dentro e fuori dalle aule giudiziarie.
L’ex leader della Compagnia delle Opere del Mezzogiorno, condannato in secondogrado a 3 anni e 10 mesi per «concorso in abuso d’ufficio» (Saladino, in pratica, avvalendosi della sua spiccata personalità avrebbe esercitato pressioni psicologiche su un funzionario della Regione, Giuseppe Lillo, per l’aggiudicazione di una gara) e per il quale il sostituto Pg della Cassazione, Giuseppina Fogaroni, aveva chiesto la conferma, si è visto cassare senza rinvio -cioè senza che la Corte d’appello debba rifare tutto da capo- il reato descritto. In primo grado fu assolto dall’accusa di associazione a delinquere, la più complessa sotto il profilo tecnico e sostanziale, ma la procura propose appello contro la decisione. E in secondo grado la condanna arrivò inesorabile attraverso una sentenza che fece inarcare diverse ciglia nel mondo dei giuristi e dei vari osservatori: come si fa a costituire un’associazione a delinquere ex art.416 del codice penale se i presunti rei sono due (ne occorrono tre per legge, altrimenti il reato non si configura)? Un mistero che la Cassazione l’altra sera sembrerebbe aver lasciato intatto annullando “con rinvio” questa condanna. Si capirà dalle motivazioni.
Azzerata pure la condanna a un anno di reclusione per abuso d’ufficio a carico dell’ex presidente della giunta regionale della Calabria, Agazio Loiero, e del suo braccio destro Nicola Durante «per non aver commesso il fatto». Esce assolto (così come si verificò in primo grado) anche il suo predecessore di centrodestra Giuseppe Chiaravalloti, i cui reati addebitati sono stati dichiarati prescritti già in secondo grado quando l’accusa chiese per lui 1 anno e 6 mesi. La Cassazione ha decretato che era «inammissibile» l’appello del pm contro la sua assoluzione, cioè non andavo proprio fatto. Intanto lo fecero.
La Suprema Corte ha poi assolto e sempre «perché il fatto non sussiste» un parente di Saladino, Francesco, mentre per Antonio La Chimia è arrivata un’assoluzione parziale: l’ex socio della «Why Not srl» fu condannato in appello a 21mesi e l’assoluzione nei suoi confronti riguarda un solo capo di imputazione mentre la Corte d’appello dovrà ora rideterminare la pena per altri capi d’imputazione.
Confermata la condanna ad un anno per Francesco Simonetti e per Rinaldo Scopelliti, dirigenti regionali: per quest’ultimo la Cassazione ha disposto una correzione, riguardante la contestazione di peculato, del dispositivo della sentenza di primo grado.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 4 ottobre 2013)