Tutto da rifare nella seconda città della Campania e, dunque, seconda procura della repubblica, quella che ha appena dato al Paese il nuovo procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti. Il caso riguarda il «mitico» processo California, tecnicamente concepito nel 1993, quando cioè la questione era semplicemente «rivoltare l’Italia come un calzino» (copyright Piercamillo Davigo). Si sentivano tutti Di Pietro & C., ergo la spada difendeva l’aratro che aveva appena tracciato il solco. Solo l’altro giorno, dopo 21 anni circa arriva la parola fine, quella vera.
La Cassazione smonta, confermando tra l’altro una parte della decisione già assunta in Appello, tutto il giocattolo di quegli anni scandito al ritmo del «Di Pietro facci sognare». Il teorema era il solito, ancora palpitante sotto la cenere dei processi al sistema, come quello a Cosentino in Campania o diversi altri siciliani e calabresi: la politica era al servizio della camorra, nella fattispecie di un temibile gruppo camorristico, il clan Maiale (lo stesso che Saviano, in uno dei suoi copiaeincolla non aggiornati, segnalò come operativo 3 anni fa, invece si era dissolto 13 anni prima) al quale si piegarono le volontà di un ex ministro socialista (Carmelo Conte, tenuto per oltre 18 anni sulla graticola, stroncandone di fatto la carriera politica), un ex sottosegretario Dc (Paolo Del Mese) ed una teoria di amministratori pubblici, tecnici, colletti bianchi, imprenditori etc.
Tutti a baciar le mani a vossignoria mentre i sanguinari banchettavano? Assolutamente no, le accuse della procura di Salerno risultano, dopo 21 anni, provate solo per un pugno di soggetti su un centinaio tra coinvolti e «mascariati» vita natural durante. Un dipendente Asl, un paio di costruttori e di irriducibili del clan. E i titolari dell’accusa per tutti questi anni? Alcuni sono già in pensione.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 29 ottobre 2013)