Seimila pazienti in più per quattrocento medici di base, fanno quindici a testa in media. Ma erano -i pazienti- o morti, o emigrati all’estero oppure trasferiti fuori provincia, pertanto né loro potevano essere assistiti, né i medici di famiglia potevano incassare gli emolumenti stabiliti dalla legge per le prestazioni effettuate. Sembrerebbe pacifico ma, in Italia, si sa, spesso accade il contrario. Infatti la storia è andata avanti per un po’ di tempo, cagionando un danno all’erario quantificato finora dalla Finanza di Caserta in circa 1,5 milioni di euro.
I militari campani, guidati dal colonnello Verrocchi, hanno incrociato i dati dei 104 comuni della provincia con quelli dell’Asl di competenza, scoprendo che i medici sono stati regolarmente pagati nonostante all’appello mancassero, nell’ordine, 1.215 pazienti deceduti, 2.010 emigrati all’estero e altri 2.763 trasferiti altrove.
«E’ emerso – spiega la Gdf in una nota – un comportamento degli organi apicali dell’Ente Sanitario praticamente non compatibile con i livelli di professionalità richiesti a chi partecipa alla gestione della “cosa pubblica”, perché non si era provveduto all’aggiornamento degli iscritti nelle liste dei medici di medicina generale». Il discorso è chiaro: sono gli organismi che governano l’anagrafe dei cittadini i veri responsabili di quest’ennesimo scandalo, trasmesso già alla Corte dei Conti per le valutazioni e le azioni conseguenti. Non risultano, al momento, indagati né tra i professionisti né tra il personale dell’Asl responsabile dei vari dipartimenti contabili e neppure tra i dipendenti comunali: le relativa segnalazioni sono partite, si tratta ora di attendere i tempi della giustizia. E qui sta il problema vero, dal momento che nessuno può prevedere se e soprattutto quando la faccenda potrà contemplare un risarcimento in favore delle casse pubbliche.
Delle due l’una: o a Caserta ci sono quattrocento medici truffatori, il che è impensabile al netto dei casi riscontrati nel «blitz» dei finanzieri di medici che si sono fatti pagare fatture per prestazioni effettuate a morti o emigrati (come il fisioterapista scoperto e denunciato perché si era fatto rimborsare fatture per aver curato un morto); oppure c’è qualcosa di più grave che incide sulle disperatissime casse della sanità della Campania. E non solo.
I medici di famiglia, per legge, sono pagati 40 euro all’anno «a libretto», cioè a paziente: il resto dello stipendio deriva da altre variabili. Diventa complicato immaginare che tutti e 400 abbiano voluto dividersi illegalmente 6000 mutuati inesistenti (appunto, 15 a testa in media): in genere i medici di famiglia assistono fino a 1500 pazienti e, in casi eccezionali, ottengono anche una deroga per sforare il tetto. Accorgersi che 15 tra essi non ci sono più, non solo non compete loro ma addirittura si fa difficile, se non impossibile in un contesto di oltre un migliaio di persone.
Il guaio, come sempre, lo fanno gli uffici pubblici, pieni zeppi (questi sì) di dipendenti in più, spesso pagati per nulla. Sono questi a doversi preoccupare dell’aggiornamento degli elenchi per evitare proprio che succeda ciò che hanno scoperto i finanzieri di Caserta e che, c’è da giurare, accade anche nel resto d’Italia.
Quella di ieri è solo l’ultima notizia in materia di buchi nel bilancio della sanità (che pure con Caldoro sta registrando progressi rispetto al “Rinascimento” targato De Mita-Bassolino). E’ di pochi giorni fa l’altra vera, grande «novità» emersa in seguito ad approfondimenti degli organi inquirenti: in un’Asl del napoletano è stato riscontrato un volume di doppi pagamenti per le stesse fatture calcolato, finora, in 32 milioni di euro. Soldi, tanti, tantissimi. Finiti chissà dove.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 22 ottobre 2013)