ARCHIVIOC’è un posto dove il Pd fa politica perché gliel’ha ordinato il medico

admin19/10/2013
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Certificato medico

Si può far politica per tante ragioni. Per passione, per migliorare le condizioni della vita associata, per ambizione personale o di clan, per sete di danaro, per casualità, per tradizione familiare, finanche per legittima difesa. Ma che si facesse politica perché l’ha ordinato un medico, non s’era mai sentito tra le mille bizzarrie di questi anni strani. Invece è accaduto, tutto nero su bianco all’interno di un atto pubblico depositato in un tribunale italiano.

 

Succede ad Eboli, città di circa 40mila abitanti a pochi km da Salerno e a mezz’ora da Napoli, dove il capogruppo di un partito importante, uno di quelli che governa il territorio da tempo, ha pensato bene di spararla così grossa da non rendersene neppure conto. Almeno si spera. E tutto per trarsi d’impaccio da una situazione complicata che, come accade in certi casi, da imbarazzante si è fatta comica. Stiamo parlando della vicenda del massimo rappresentante del Pd (e chi altri?) nelle istituzioni Vincenzo Rotondo, di professione medico presso il locale distretto sanitario. 

La storia è questa. Diversi mesi fa, prima della quiescenza, il politico fu colto in castagna da un quotidiano locale con un articolo nel quale si osservava una strana coincidenza: com’era possibile che l’autorevole esponente del «partito degli onesti» fosse presente in consiglio comunale o in commissioni consiliari varie, visto che risultava assente dal posto di lavoro dove aveva mandato i relativi certificati di malattia? Non sarà mica che il capogruppo Pd ci stesse provando, tentasse di fare il furbetto manco fosse un becero berlusconiano? Non sia mai, nel Pd certe cose non le fanno. Per tutta risposta, infatti, che ti escogita il capogruppo? L’omologo in scala degli Speranza e dei Zanda, consigliato forse da uno scienziato del diritto, presenta una querela per la tutela della dignità personale, del proprio buon nome e bla bla bla. Solita storia. Si arriva al dunque (giudiziario) e la vicenda assume il connotato di un film con Totò e Nino Taranto: il dottor Rotondo, per vedersi riconosciute dalla giustizia le proprie ragioni scrive al magistrato dicendo (in sintesi non testuale ma sostanziale) che «si trattava di un periodo difficile, di forte stress emotivo; attraversavo una fase di depressione e pertanto il medico mi aveva consigliato di darmi alla politica, di partecipare alla vita pubblica ed istituzionale». Ecco, per giustificare quella che, tecnicamente, si chiama in altro modo ha pensato di buttarla in satira: ci si riesce anche senza accorgersene o senza volerlo.  Morale, par di capire che il capogruppo del Pd faccia (o abbia fatto) politica perché gliel’ha detto il medico. Roba seria. Togliatti impallidirebbe dinanzi a tanto eroico ardore. Inutile descrivere la faccia del magistrato che s’è trovato dinanzi quelle carte così come le sue susseguenti decisioni.

Questo accade in una città da sempre amministrata dalla sinistra e dove sta per abbattersi una bufera giudiziaria consistente. Infatti, un consigliere comunale di Fratelli d’Italia, Lazzaro Lenza, ha trascinato in procura la municipalizzata locale (“Multiservizi spa”), una delle tante vacche munte fino allo stremo dai vari amministratori reclutati tra l’esecutivo cittadino, la segreteria e la dirigenza del Pd come prima di Rifondazione comunista. Risulterebbero agli atti incamerati dalla Guardia di Finanza e trasmessi alla magistratura, impressionanti disallineamenti contabili per oltre un milione e mezzo di euro, centesimo più centesimo meno.

Scavando nelle carte sono spuntate fatture pagate più volte, lavori mai autorizzati, infornate di assunzioni (circa una settantina) durante le campagne elettorali, strade bitumate a poche ore dal voto e sempre da un’unica impresa (legata da anni all’entourage del sindaco, pure lui del Pd), pagamenti in contanti in ristoranti ed alberghi con danaro attinto dalle casse sociali, insomma una piccola orgia di soldi, favori, voti e prebende ad opera di quanti stavano preparandosi a batter le mani a Michele Santoro e Marco Travaglio in prima serata.

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 19 ottobre 2013)

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