Non fatelo sapere a Tobias Piller e a Udo Gumpel, i due «pilastri» del giornalismo tedesco allevati in Italia, che ciò che i loro connazionali tentano di fare a Limburg con un arcivescovo, su un cucuzzolo di montagna italiana è già realtà con un parroco. Chi se l’aspettava, infatti, che la mitica Capracotta finisse al centro di un feuilleton dove dentro c’è un po’ di ogni cosa?
Nella «Cortina in miniatura», come tra il serio e il faceto Alberto Sordi battezzò ne Il conte Max il paesino a 1500 metri sul mare, esiste un parroco potente, ma così potente da volersi costruire una canonica da un milione di euro (più dell’intero bilancio municipale) riuscendo in un colpo solo a: far sbattezzare un «oppositore» cancellandolo dai registri parrocchiali, ottenerne addirittura la scomunica con un provvedimento autoritativo ad hoc, trascinare la curia vescovile tutta -o quasi- dalla sua parte, mantenere in vita un progetto edilizio partorito nel 2001 a dispetto di un quarto della popolazione col pollice verso e, infine, godersi lo spettacolo del getto della spugna da parte del sindaco, contrario all’opera ma sconfitto dal regime delle «autorizzazioni già rilasciate verso cui non c’è più nulla da fare».
Ma di cosa parliamo e cosa c’entra la Germania? Stiamo parlando dell’intricata quanto esilarante vicenda con protagonista don Elio Venditti, agguerrito parroco che a ridosso della chiesa dell’Assunta (foto) risalente alla seconda metà del ‘700 immagina la sua nuova canonica: nulla a che vedere con le scarne stanze della casa del guareschiano don Camillo, qui siamo a circa 500 metri quadri di casa, in più a spese del contribuente perché l’opera dovrebbe essere realizzata con i fondi dell‘8×1000. La Germania entra in questa storia solo per identità di uno strambo destino tra Limburg e Capracotta: l’arcivescovo teutonico Franz-Peter Tebars-van Elst, come un don Venditti qualsiasi, pure non ne ha voluto sapere delle proteste contro la costruzione della nuova residenza episcopale prevista con un costo di 5milioni subito lievitati a oltre 30. Logico: nel progetto del connazionale di Piller e Gumpel, è prevista una «reggia con cappella privata, giardino, cantina per le reliquie, stanze per il vicariato e per i suoi assistenti» come scrive il sito Lettera43.it che ha già trattato la storia. Non esattamente il paradigma della così detta Chiesa povera del Papa in carica ma neppure la potente aspirazione alla magnificenza della bellezza divina attraverso l’oggettività dell’arte sacra di quello emerito. Insomma, una gatta da pelare, che qui da noi subito abbiamo girato all’italiana.
In che senso? Questo: intanto don Elio sembra abbia smentito l’importo di 1milione anche se non ha ufficializzato quello reale, così come pare non abbia neppure confermato che 200 capracottesi avessero già sottoscritto una petizione contro il progetto, considerato pericoloso per la conservazione della chiesetta. Poi incontriamo il valzer della politica e dell’amministrazione locale, che si somiglia un po’ ovunque: il sindaco del 2001 licenziò infatti il progetto contestualmente all’approvazione di una variante al Prg che rese i suoli edificabili. La stessa Sovrintendenza, alla fine, s’è dovuta arrendere concedendo i nulla osta, al pari del vescovo di Trivento (la diocesi di appartenenza) monsignor Scotti. Le benedizioni, insomma, c’erano tutte.
E oggi? Oggi c’è un mistero, appunto, tutto italiano: i soldi chi li tira fuori se dalla Cei sono arrivati soltanto 400mila euro (prelevati dal fondo per gli edifici di culto del ministero degli Interni) e qui ce ne vogliono almeno altri 600mila? Il comune? Non sembrerebbe, anzi. La curia, dal suo canto, vorrebbe metterci di suo altri 350mila euro ma sarebbe impensabile -raccontano da quelle parti- visto che il budget dell’episcopato ammonta proprio a quella cifra e deve bastare per circa 70 parrocchie. E dunque? Il mistero va avanti arricchendosi anche della strenua opposizione di un filantropo della zona, l’imprenditore Ermanno D’Andrea che pur di bloccare il progetto s’è spinto a chieder per sé lo sbattezzo. Subito accontentato, con l’aggiunta di una scomunica formale piovuta dalla curia vescovile: un knock out per il D’Andrea che, forse, mai avrebbe immaginato tanta impuntatura da parte del clero locale. Una ragione, altra, forse ci sarà. E chissà che non risieda più in alto.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 18 ottobre 2013)